18 Settembre 2021 - 09:00

Dune: Villeneuve e l’inizio di una nuova mitologia

Dune

Con “Dune”, Denis Villeneuve dà inizio ad una nuova space opera sul modello di Star Wars. E crea così una mitologia da zero

Molte volte, nella storia del cinema, abbiamo assistito ad adattamenti di opere letterarie capitali, mastodontiche, che hanno completamente rivoluzionato il mondo letterario. Solitamente, dietro queste opere grandiose (basti pensare già solo alla recente trilogia de “Il Signore Degli Anelli” di Peter Jackson), vi è un lavoro incredibile. E proprio questo è l’intento di Denis Villeneuve. Portare su schermo, dopo David Lynch nel 1984, ancora una volta, il ciclo “Dune” di Frank Herbert.

Un’operazione che già dal suo annuncio ha risvegliato le coscienze di tanti “aficionados” della prima ora. La lezione già avuta con “Blade Runner 2049“, sequel dell’opera di Ridley Scott, inizialmente accolto tiepidamente e poi rivalutato pian piano nel corso del tempo, ha mandato su tutte le gioie i fan delle space opera di tutto il mondo. La voglia di Villeneuve è quella di rispettare in primis la tradizione letteraria di Herbert. Successivamente vuole creare un prodotto che possa stagliarsi nell’immaginario collettivo.

Non è un mistero che, in effetti, la struttura di “Dune” richiami da vicino quanto creato da George Lucas con la sua più grande opera, vale a dire “Star Wars“. E l’idea è proprio quella di ricalcare il fenomeno che portò al successo una delle saghe più conosciute e celebrate di tutti i tempi. Questa voglia di “successo” da parte di Denis Villeneuve si traduce, ovviamente, in una nuova mitologia da creare da zero. Una mitologia da manovrare nel tempo, a partire da questo lungometraggio.

Il canadese sarà riuscito ad “avviare la macchina” o sarà rimasto impantanato nel deserto sabbioso anche lui? Andiamo a scoprirlo.

Guerra tra casate

Dato che la struttura di Dune affonda precisamente le sue radici nella mitologia, anche la sua stessa evoluzione sembra ricalcare la voglia di costruire qualcosa di epico. Innanzitutto, partiamo già da un contesto avulso a noi. Siamo nell’undicesimo millennio, sul pianeta Arrakis, steppa sabbiosa e sconfinata. Dopo essere stato governato per decenni dalla perfida casata degli Harkonnen, i ben più miti Atreides, con a capo il Duca Leto (Oscar Isaac), prendono il Governo del pianeta.

Lo stesso Duca, però, capisce che dietro questa mossa c’è lo zampino dell’Imperatore dell’Universo, deciso a sterminare la sua casata una volta per tutte. Per farlo, crea un conflitto tra Atreides e Harkonnen, guidati dal crudele Barone Harkonnen (Stellan Skarsgård) per il controllo della cosiddetta Spezia. Quest’ultima è la sostanza più preziosa dell’universo, presente solo su Dune, e fornisce capacità mentali sovrumane, oltre a rendere possibili i viaggi interstellari.

Una volta esplosa la sfida, sarà compito del giovane Paul Atreides (Timothée Chalamet), figlio del Duca, e di sua madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson) condurre il popolo verso la libertà. L’epica è servita.

Il (micro)cosmo di Dune e l’approccio di Villeneuve

David Lynch, nel 1984, nel suo “Dune“, provò a penetrare nel mondo sci-fi attraverso spiegoni e voice-over che rendevano tutto abbastanza esplicito. La strada percorsa da Villeneuve, al contrario, punta proprio a ridurre questo rischio. Stiamo parlando di una delle mitologie più complesse in assoluto da trattare.

Proprio per questo, il canadese sceglie di approcciarvi con i piedi di piombo, passo dopo passo. Così riesce a svelare le carte in maniera progressiva. Il fine è creare un mondo a sé stante in cui poggiare pian piano i piedi per poi camminare. Da qui si comprende anche la scelta di voler dividere il film in due parti: per incanalare il world building senza pressioni, con cura. Il “Dune” di Villeneuve costruisce man mano i miti e le storie su cui fondare la propria epica.

E, naturalmente, l’epica ha bisogno di essere formulata. Ma è interessante proprio come questa costruzione avvenga in modo opposto alle consuetudini. Il canadese preferisce svuotare il trionfalismo, mischiando precisamente il solenne con l’asettico, l’ascetico con il terreno, il visionario con l’asciutto.

Il risultato è un film che vive di equilibri. Si punta sia all’apocalittico e al rarefatto che all’intrattenimento e che “si costruisce“, proprio come fosse una saga letteraria. Proprio per questo, assistiamo ad una progressiva minimalizzazione dell’impianto narrativo. L’incipit resta però didascalico. Ma mai come questa volta è funzionale ad immergere lo spettatore in una realtà a lui avulsa, piena di giochi di potere ed evoluzioni politiche.

In questo modo, “Dune” trova la sua dimensione tra azione e dialogo, tra tensione (gestita mediamente bene) e distensione. Riesce a rilasciare l’epica quando vuole (soprattutto nelle scene di combattimento). In altri frangenti invece osa con l’onirismo, ma finisce per sboccare, a causa della loro lentezza e esagerata rarefazione. Così questi ultimi finiscono per non avere una precisa collocazione all’interno del film.

Un approccio non urlato, che però è maledettamente funzionale a creare un mondo “avulso” allo spettatore e ad immergervelo al suo interno senza fretta.

La cura dei dettagli

In una costruzione così magniloquente quale quella di “Dune“, sono i dettagli a dover fare la differenza. E la cura che Villeneuve mette a disposizione è alta. Tra un sonoro devastante e una CGI pregevole, risalta anche la perizia della regia. Tramite campi lunghi di ampio respiro e inquadrature dall’alto, in molti casi simmetriche (si ricordi “Arrival“), riesce a dare un tono di solennità all’opera, adatto ad un’operazione così “imponente”.

Anche le stesse “casate” e i personaggi seguono la stessa strada tipica delle space opera. Dal punto di vista registico, il ritmo è intensificato man mano. La gestione delle sequenze più action è intelligente, anche per come si sfruttano le ambientazioni spoglie (prerogativa del regista).

La fotografia si adagia sulle tonalità predilette dal canadese. L’assetto dei colori è mono-cromatico, e ben si presta alla rappresentazione di panorami asettici e dall’andamento uniforme. Classico del regista, anche in questo caso risulta congeniale alla rappresentazione di ambientazioni desertiche e spoglie, sulla scia di saghe come “Star Wars“, e favorisce l’obiettivo primario, ovvero il de-saturare gli ambienti.

La qualità dell’impianto visivo, dunque, come sempre, non delude. Così anche lo stesso regista porta avanti il suo autorialismo tramite un blockbuster dalla portata epica.

Le due facce dei protagonisti

Se c’è, però, un punto su cui il “Dune” di Villeneuve rischia di cascare violentemente, è nella scelta dei suoi attori. Se da un lato Rebecca Ferguson e Stellan Skarsgård (uno dei villain più interessanti degli ultimi anni) offrono due prove convincenti, soprattutto dal punto di vista espressivo e drammatico, il lato debole è rappresentato da Chalamet.

L’attore franco-statunitense, nel ruolo del protagonista, risulta troppo asettico, inespressivo, privo di fascino e forse anche inadatto ad un ruolo che meriterebbe più epica, da questo punto di vista. Le espressioni mono-facciali poco si adattano ad un ruolo così importante come quello di Paul Atreides, che forse avrebbe meritato un po’ più di “cattiveria” (in senso buono).

Ottima, invece, Charlotte Rampling, una sicurezza anche in un ruolo secondario. E, come detto, a fare da contraltare al poco adattamento di Chalamet, ci pensano la Ferguson e Skarsgård. La prima è bravissima a designare una parte drammatica, sofferente per il destino di suo figlio, e lascia trasparire tutto il disagio del suo personaggio.

Il secondo, d’altronde, si contraddistingue per il suo personaggio così arcigno e misterioso. Scelta che al contempo detta repulsione e fascino nei confronti del villain di “Dune“, che si prefigura come uno dei più interessanti mai visti negli ultimi tempi su schermo.

Chiude il cerchio la tanto attesa Zendaya, che però contrariamente a quanto si possa pensare, resta su schermo il minor tempo possibile. La sua performance, dunque, resta non giudicabile, in quanto la resa è impossibile da quantificare.

VOTO FINALE: 3.5/5
DESCRIZIONE: Villeneuve riesce a creare un buon preambolo di storia, che alla fin fine risulta godibile e che risulta interessante soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi futuri del mondo di Dune. Oltre alla consueta tecnica, il film si contraddistingue per un buon equilibrio di fondo e per la tanta attenzione alla costruzione del mondo cinematografico.