Eurovision, il successo Rai è una rivincita dopo anni di snobismo
C'era un tempo in cui in Italia l'Eurovision veniva considerata come una competizione di serie B. Il successo dell'ultima edizione dimostra che qualcosa è cambiato
Recentemente, l’EBU ha rilasciato i dati ufficiali riguardanti l’Eurovision 2022, e i numeri parlano chiaro: dopo aver raccolto le informazioni ricavate dai sistemi di misurazione degli ascolti, su 34 mercati le tre serate eurovisive sono stati viste da 161 milioni persone, con un aumento di circa il 7 milioni rispetto al 2021 negli stessi Paesi. A questi, bisogna far presente che non è stato possibile misurare invece i dati provenienti dall’Albania, Azerbaigian, Croazia, Israele, Malta, Montenegro, Macedonia del Nord, San Marino, poiché tali territori non dispongono di sistemi di misurazione dell’audience televisiva. A tutto ciò mancano inoltre i dati dell’Ucraina- per ovvi motivi- e della Russia, la cui notizia dell’eliminazione dal contest venne diffusa già da febbraio.
La finale del 14 maggio ha registrato circa il 43,3% di share, con una crescita del 3% rispetto allo scorso anno. L’Italia ha registrato il suo più grande pubblico dal 2011, anno in cui è rientrato all’Eurovision, con una crescita del 53% rispetto al 2021 e uno share corrispondente al 41,9%.
Numeri impressionanti, che generano anche un moto d’orgoglio visto che la 66° edizione del contest ha avuto luogo proprio in Italia. Era dal 1991 che il nostro Paese non ospitava la competizione, in una messa in onda disastrosa.
Nel leggere tali cifre, è chiaro che ormai sono lontani i tempi in cui l’Eurovision Song Contest veniva considerato in Italia come un evento di secondo ordine, che non meritava chissà quali attenzioni.
Ma partiamo dal principio. Cos’è l’Eurovision? Per rispondere a tale quesito, si potrebbe iniziare con lo specificare che l’ESC è l’evento non sportivo più seguito in assoluto. Un’enorme live show che riunisce artisti provenienti da ogni parte d’Europa e non solo, visto che sono possono partecipare alla competizione tutti i Paesi le cui tv pubbliche siano associate all’European Broadcasting Union (motivo per cui, ad esempio, è stata ammessa in gara anche l’Australia).
Come spiega Giacomo Natali nel suo libro “Capire l’Eurovision- tra storia e geopolitica“, si tratta del più grande festival musicale al mondo in cui spettatori sono “condannati per una sera ogni anno a mettere da parte i propri gusti musicali ricercati e in generale il proprio buongusto, per godersi i collegamenti in diretta con una cinquantina di paesi impegnati in interminabili sessioni di voto, come se fosse una cosa importante- perché allora essi saranno convinti che lo sia davvero”.
Eppure, come è stato specificato prima, l‘Italia ha sempre guardato all’Eurovision con un occhio scettico e critico, al punto tale da decidere di ritirarsi dal contest per più di un decennio. Strano da pensare visto che essa rientra di diritto tra le Big5, un’ élite di cui fanno parte anche il Regno Unito, la Francia, la Spagna e la Germania che sono di fatto i Paesi che più sostengono a livello economico la EBU e, di conseguenza, vengono ammessi direttamente alla Grand Final.
Al suo rientro, l’Eurovision che gli italiani ricordavano non esisteva più. Come spiega Natali nel prologo del suo libro: “[L’Italia] pur essendo tra le nazioni fondatrici della competizione, se ne ritirò nel 1997, per poi ritornare a partecipare soltanto a partire dal 2011. Proprio durante quell’intermezzo, però, avvenne una mutazione radicale dell’evento, sia per motivi interni (il meccanismo di voto si aprì al pubblico), che esterni (la fine della guerra fredda e il conseguente allargamento della platea di partecipanti).”
E nel mentre l’Eurofestival “[…]si è trasformato in un gigante pop e mediatico capace di attrarre ogni anno oltre 200 milioni di spettatori e scaldare animi e ambizioni attraverso il continente“.
Ma solo da pochi anni le cose hanno iniziato a cambiare, e l’ultima edizione ha reso evidente come la Rai abbia capito in pieno tutto l’appeal mediatico che l’Eurovision è in grado di generare.
DAL FESTIVAL DI SANREMO ALL’ESC: UN FILO (IN)VISIBILE
Non si può parlare dell’Eurovision senza accennare a un’altra importante competizione musicale: il Festival di Sanremo. Non si può fare riferimento a uno senza escludere l’altro. Questo non solo perché il suo vincitore andrà poi a rappresentare la nazione al Grand Final, ma anche perché l’ESC è nato prendendo come modello di ispirazione proprio il contest nostrano.
Ma come lo stesso Natali ha sottolineato nel suo libro, questo è stato anche uno dei motivi per cui l’Eurovision è sempre passato in secondo piano sui nostri palinsesti, visto che tutte le esigenze della Rai venivano già soddisfatte da quel Festival che continua ancora oggi a far schizzare gli ascolti alle stelle.
E se il Paese nel frattempo rimane sconvolto dai cambiamenti avvenuti nel contest eurovisivo, venti di innovazione infuriano anche sul quel fenomeno culturale che ormai è diventato Sanremo.
Non si tratta certo di uno stravolgimento repentino. Eppure, poco alla volta, si iniziano a notare delle leggere innovazioni sia nell’organizzazione sia nella scelta degli artisti in gara. È possibile un primo significativo cambio di rotta con il primo posto conquistato da Francesco Gabbani con la sua “Occidentali’s Karma”. Dopo i risultati della finale del 2017, il pubblico si divise tra coloro che si indignarono per il fatto che una “canzonetta di questo genere” fosse addirittura arrivata in cima al podio, e coloro che invece esultavano, visto che finalmente veniva riconosciuta una canzone dal testo intelligente e brillante dal ritmo moderno e orecchiabile. Un interesse che si concretizzerà ancora di più durante l’Eurovision, dove l’esibizione di Gabbani con la scimmia che diventa virale.
L’ARRIVO DI BAGLIONI E IL SUCCESSO DI “SOLDI” ALL’EUROVISION
Un cambio di rotta radicale avverrà quando la direzione artistica di Sanremo passa nelle mani di Claudio Baglioni. Durante il periodo di promozione, Baglioni annuncia a gran voce che il suo intento è quello di “svecchiare” il Festival per cercare di avvicinarlo ai giovani.
Iniziano a comparire nomi che nessuno pensava avrebbe mai visto sul palco di Sanremo: Achille Lauro, lo Stato Sociale, Motta.
Ma è con il “Baglioni-Bis” che scoppia la rivoluzione. Il 2019 è l’anno delle conquiste ma anche delle inutili polemiche. L’edizione di quell’anno vede in gara quanti più generi possibili: dal pop all’indie di qualità fino al rap, senza tralasciare nemmeno le sonorità rock e quelle del blues,
In quell’edizione, Mahmood debutta all’Ariston con il singolo “Soldi”, un brano dallo stile marocco pop (che mischia le sonorità del rap e della trap ad influenze provenienti dalla musica araba) che racconta di un’infanzia di periferia segnata da una complessa situazione familiare. E’ interessante notare come in realtà la vittoria di Mahmood sia dipesa solo in minima parte dal televoto da casa- che invece ha preferito Ultimo-; mentre a ribaltare la classifica finale è stato il giudizio delle giurie, che hanno assegnato al cantautore milanese il massimo dei punteggi.
Il resto purtroppo è storia nota: il gelo in sala stampa, il secondo classificato (Ultimo) che lamenta del sistema della troppa disparità tra i risultati del televoto e quanto votato dalle giurie, e le accuse di stampo razzista sui social nei confronti del primo classificato.
Eppure il trionfo di Mahmood segna una spartiacque. “Perché Sanremo è Sanremo” era il motto che per anni aveva giustificato la tendenza del Festival ad imprigionarsi in sonorità vecchio stampo ormai fuori moda. Mentre Sanremo rimaneva sempre uguale a sé stesso, il panorama musicale italiano stava rapidamente cambiando con l’imporsi sulla scena mainstream dei generi del rap e della trap
La vittoria di “Soldi” è stato un primo grande passo verso l’apertura di Sanremo a un nuovo tipo di pubblico e a un nuovo tipo di musica, rappresentata dai brani che avranno maggiori probabilità di diventare successi radiofonici ed occupare le prime posizioni nelle classifiche di Youtube e delle piattaforme streaming.
All’Eurovision, Soldi diventa un successo. Considerata come la principale favorita, arriva “solo” al secondo posto. Poco importa: tutta l’Europa e non solo batte la mani a tempo, e l’Italia è – ancora una volta- sulla bocca di tutti.
AMADEUS: DAL FENOMENO DEI MANESKIN FINO A MAHMOOD E BLANCO
Nel 2020 Sanremo cambia nuovamente direzione artistica, affidata questa volta a uno dei volti più amati della Rai: Amadeus. Il presentatore fa sue tutte le innovazioni messe a punto in passato e le porta a un livello nuovo.
Con lui, Sanremo non è più il palco delle vecchie glorie dove esibirsi solo se si intendeva dare un rilancio alla propria carriera, ma una vetrina a tutti gli effetti in grado di garantirti un buon successo di vendite e posizioni nelle classifiche.
Come ha spiegato Filippo Ferrari nel suo articolo “Sanremo è inclusivo ma non in quel senso” pubblicato su Rolling Stones Italia: “Sicuramente Amadeus è riuscito a far diventare il Festival una roba a cui la gente vuole partecipare. Gli va riconosciuto, su. Qualche anno fa non era così: ci andavi o perché dovevi rilanciare o perché eri Al Bano. Dall’anno della vittoria di Mahmood però qualcosa è cambiato, è iniziato un nuovo corso, quello del «puoi partecipare a Sanremo ed essere contemporaneo. È incredibile ma è così. Prova!”
Evidente a tal proposito il successo globale raggiunto dai Måneskin, dopo aver vinto la 71° edizione di Sanremo e poco dopo l’Eurovision 2021. La vittoria di “Zitti e buoni” è un’ottima chiave di lettura nel comprendere quanto il Festival e il suo pubblico siano cambiati nel corso degli anni. Solo qualche tempo prima, sarebbe stato impensabile che una band come quella dei Måneskin conquistasse l’Ariston.
Mettendo da parte le analisi sul loro stile musicale, il successo globale raggiunto dai quattro musicisti ha fatto vedere come anche l’Italia riesce a rispondere alle logiche di mercato internazionali, alla ricerca di sonorità sempre più moderne.
Il Festival di Sanremo 2022 può essere visto come la punta dell’Iceberg rispetto a quanto detto fino ad ora. L’obiettivo è sempre lo stesso: attrarre quanto più pubblico possibile, cercando di coinvolgere tutte le fasce d’età.
Il risultato è stato un cast artistico che prevedeva di tutto: da Morandi a Ranieri, dalla Rappresentante di Lista a Dito nella Piaga; da Dargen d’Amico a Achille Lauro; senza dimenticare di pescare nuovi nomi dal campionato dei social e dai talent – vedasi la presenza di nomi quali Matteo Romano, Aka7even, Sangiovanni. A ciò si sono aggiunti alcuni artisti considerabili come alcuni tra i Golden Boys della discografia italiana: dall’inaspettata coppia composta da Mahmood e Blanco– che ha trascorso l’ultimo anno e mezzo stando sempre in cima alle classifiche -ma anche Rkomi (il suo Taxi Driver è stato tra i dischi più venduti del 2021- e Irama, alcuni dei nomi la cui firma è sinonimo di successo (e soldi).
Una miscela che ha prodotto ascolti stellari e consensi a non finire.
Inutile specificare- visto che se n’è parlato ad oltranza in questi mesi- che a vincere Sanremo 2022 sono stati Mahmood e Blanco, che poco tempo dopo sarebbero stati chiamati a rappresentare l’Italia all’Eurovision, in un’edizione importante, visto che questa volta eravamo il Paese ospitante e le aspettative erano enormi.
EUROVISION 2022
In ambito Eurovision, nessun altro festival– inteso come l’evento che ha lo scopo quello di decretare il proprio rappresentante- è paragonabile a Sanremo. Nonostante sia stato preso varie volte come modello e ispirazione; nessun altro contest è mai riuscito ad eguagliarne il prestigio. Cosa che ha sempre messo l’Italia in una posizione molto anomala, visto che siamo gli unici che ogni anno si ritrovano a mandare gli artisti italiani più importanti e affermati sulla scena nazionale (e la rappresentanza di quest’anno è un valido esempio) . Una scelta che si differenzia notevolmente da quella presa dagli altri “rivali”, i cui cantanti sono di solito sconosciuti anche in patria.
Un modus operandi che ha sempre premiato, visto che l’Italia si è conquistata la fama di essere sempre considerata come uno dei concorrenti più forti in gara.
Quest’anno quando la settimana eurovisiva arriva è sulla bocca di tutti. E’ un Sanremo 2.0: ne parlano i giornali, ne parla la radio, in televisione vanno in onda continui speciali che fanno vedere le dietro le quinte nel Pala Alpitour di Torino. L’hashtag #Eurovision2022 rimane in tendenza per oltre dieci giorni di seguito.
Un evento live che si rivela una sfida per Casa Rai e che ha richiesto oltre un’anno di preparazione. Una scommessa a cui la tv di Stato non poteva sottrarsi nell’organizzazione e preparazione di questo show mastodontico trasmesso in diretta, dove anche solo uno leggero sfioramento di scaletta sarebbe stato un problema e avrebbe dato il via a una serie di aspre critiche (come infatti poi è successo anche per questioni anche sciocche).
Ma nel vedere l’incredibile scenografia allestita sul palco del Pala Alpitour, l’entusiasmo del pubblico straniero che ha affermato di essersi sentito a casa durante trascorsi a Torino, e l’affiatamento dei tre conduttori – Laura Pausini, Alessandro Cattelan e Mika– si può affermare che la Rai ha vinto la sua scommessa. E i dati registrati lo confermano.
Sembra assurdo ora ricordare la messa in onda risalente al 2011- l’anno del rientro-, dove la cerimonia, pur potendo contare sulla presenza di Raffaella Carrà, venne trasmessa su Rai5 e registrò pochissimi ascolti.
Siamo quindi di fronte a un “rinascimento” dell’Eurovision. Un Eurovision che ha attirato un diverso tipo di pubblico, il quale ha ora subisce il fascino di uno spettacolo sempre più glam e kitsch, ma che comunque ha come obiettivo principale quello di diffondere le differenti culture e tradizioni musicali dei Paesi coinvolti. E questo, non è un aspetto di poco conto..
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