Politica

Giornata Dei Camici Bianchi: se la politica abbandona gli infermieri

Le istituzioni italiane hanno deciso di ringraziare gli infermieri con la Giornata Dei Camici Bianchi. La FNOPI, però, si arrabbia per la definizione

Gli infermieri. Il più delle volte abituati a lavorare in maniera silenziosa nelle situazioni più disastrose. Il più delle volte il loro contributo passa sotto traccia e non viene celebrato. Ma sono loro che salvano vite umane e si trovano a combattere faccia a faccia con delle responsabilità insidiosissime. Inutile dire che sono tra i veri eroi di questa incredibile epidemia causata dal Coronavirus. Eppure, ancora una volta, l’Italia si dimostra inadeguata, non capace di rendere giustizia ai “giusti“. Infatti, le istituzioni hanno deciso di ringraziarli inaugurando la Giornata Dei Camici Bianchi.

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E qui sorge il vero problema. Perché il disegno di legge approvato in Commissione Affari Costituzionali al Senato non rende effettivamente giustizia a dei veri e propri eroi in pectore. Il nome scelto, ovvero “Giornata Dei Camici Bianchi“, compie una fallace descrizione di quello che è il mondo ospedaliero. Con “Camici Bianchi”, da sempre, sono infatti identificati solamente una parte di tutto il corpo ospedaliero, ovvero i medici. Questi ultimi sono naturalmente la parte essenziale e importante delle professioni coinvolte. Ma non è certo l’unica a “combattere sul campo”.

Nel sistema sanitario nazionale, infatti, la maggioranza spetta ad un’altra categoria: quella degli infermieri. Se i medici sono 110mila, gli infermieri sono 270mila. Il confronto è quasi impietoso, mettendola dal punto di vista percentuale parliamo di un 60% contro un 40%. Ecco perché Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI, ha chiesto la modifica del DDL: “Siamo certi che nell’iter parlamentare si porrà rimedio a questa situazione. Altrimenti rappresenterebbe un’ingiustizia formale nei confronti di tutti gli operatori che non possono riconoscersi in una definizione che da sempre non gli appartiene. Chiediamo formalmente una modifica che consenta di definire la Giornata in modo da caratterizzare il riconoscimento anche formale di tutti e non limiti di fatto l’immagine a una sola delle professioni in prima linea nella lotta alla pandemia.

Errori di superficialità

Dunque, a questo punto, c’è da passare la palla al Governo e alla politica in toto per la Giornata Dei Camici Bianchi. Quest’ultima, ancora una volta, dimostra una sorta di superficialità nella forma degli accorgimenti per le fasce di lavoro impegnate in prima linea nella crisi. A qualcuno potrà sembrare sicuramente una bazzecola, d’altronde è solamente un disegno di legge. Ma il punto è: perché complicarsi così tanto la vita, se si può ovviare in maniera così semplice?

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Non vi è certo bisogno che i diretti interessati debbano segnalare alle istituzioni un errore. Anzi, proprio tutto questo porta il discorso ad una matrice quasi grottesca, assurda. Ovvero che siamo arrivati al punto di non ritorno, in cui sono gli stessi cittadini/lavoratori a dettare la legge e le sue modalità alle istituzioni. Questo non perché si voglia scavalcare o perché l’obiettivo sia quello di mettere in ridicolo l’operato delle cariche dello Stato. No. Semplicemente perché quelle stesse cariche non sono in grado nemmeno di riconoscere i meriti (che sono palesi) ad una classe di lavoratori che sta rischiando la vita ogni giorno ed è esposta quotidianamente al pericolo.

E quindi, nella Giornata Dei Camici Bianchi si nasconde in realtà ben altro. Viene alla luce come il Parlamento e gli organi legislativi (o perlomeno, le persone che lo occupano) siano inadeguati. Viene alla luce come, in mezzo a tutto il trambusto causato dall’avvento del Coronavirus, si siano dimenticate le cose basilari, le persone impegnate in prima linea. Certo, è naturale che ci sia un’attenuante precisa, ovvero che una crisi di questa portata non era mai stata affrontata.

Ma, a conti fatti, la sensazione è che bastasse giusto un po’ di attenzione in più. Quella che non è stata data al comparto ospedaliero tutto.

Antonio Jr. Orrico

Studente al terzo anno di Scienze della Comunicazione, con una passione innata per il giornalismo, per la scrittura, per la lettura e per la musica.

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