Giulia Pratelli, il nuovo album tra l’Orlando Furioso e Serena Dandini
Nel nuovo disco di Giulia Pratelli anche un featuring con Bianco. La sua lista dei desideri è lunghissima ma il sogno vero si chiama Carmen Consoli
“Nel mio stomaco”, un viaggio in undici tappe in cui Giulia Pratelli mostra rinnovata attenzione al tema della violenza di genere: “Non si può chiamare amore ciò che non lo è”
Nel canto XXXIV dell’Orlando Furioso, Astolfo si reca sulla Luna per recuperare il senno perduto di Orlando, folle d’amore per la bella e imprendibile saracena Angelica. Anche per Giulia Pratelli il suo nuovo album “Nel mio stomaco” (disponibile in digitale per Black Candy Produzioni dallo scorso 11 Gennaio 2022) è stato sorta di viaggio salvifico e di recupero, ma verso il basso; perché, più che il cuore, è lo stomaco il vero depositario del magma emotivo che accende un individuo: è lì che ritroviamo il rumore sordo di una perdita, subitaneo come uno strappo, il ritmo incalzante di un momento che ci coglie di sorpresa, l’eccitazione – lo stomaco è una prateria sconfinata che vibra al trotto di mille cavalli – che accompagna ogni cosa quando è al suo inizio.
“Questo è stato un disco voluto, vissuto”, mi racconta Giulia questo pomeriggio, ed io la sento vicina nonostante si trovi all’altro capo del telefono, “Aspettavo il momento giusto per pubblicarlo. Ma, soprattutto in questo periodo, ho capito che il momento giusto se lo aspetti non arriva mai (…) E’ vero, ho scavato tanto, perché volevo fare un disco sincero. E scavando, scavando è stata sempre più forte la sensazione di libertà: il dolore vero mi paralizza. Per questo, quando sto davvero male, non riesco a scrivere. Ho bisogno di tempo per attraversare e metabolizzare il dolore. Solo dopo, quando sono in un certo senso guarita, posso tornarci sopra e scriverne”.
Prodotto da Zibba, al secolo Sergio Vallarino, “Nel mio stomaco” è un viaggio in undici tappe che attraversa le stagioni, quelle della Natura e quelle della Vita:
“Se la mia musica fosse una stagione? Istintivamente ti direi la Primavera, ma forse, pensandoci, in questo periodo della mia vita mi sento più vicina all’Autunno (tanto che nella tracklist c’è un brano che si chiama proprio così, ndr.) Lo dicevamo prima: per rinascere è necessario attraversare il dolore, come è necessario che le foglie cadano dagli alberi per permettere alla Natura di rigenerarsi in Primavera”.
Il viaggio, inteso sia in senso fisico di spostamento che metaforico come “scavo interiore”, e l’osservazione diretta della realtà sono due concetti alla base della poetica di Giulia Pratelli: “Infatti nella fase più dura della pandemia ho scritto pochissime canzoni (…) Ecco perché l’uscita di Nel mio stomaco è per me così importante: significa che pian piano le cose stanno volgendo per il meglio”.
Tra i temi che trovano una più diffusa ed efficace trattazione, quello della violenza di genere; in “Un’altra volta” (Un appello sì alle donne ma anche alla società: è una limitazione della libertà incredibile, e quindi una vera e propria violenza psicologica, lo spingerci a chiederci se sia sicuro per noi tornare da sole a casa quando è buio”) e in “Le cose da fare”, che Giulia Pratelli ammette di aver scritto “dopo aver letto il libro di Serena Dandini Ferite a Morte, che racconta 60 storie di femminicidi (…) Mi sono voluta mettere nei panni di una donna che subisce questi soprusi e ho pensato alla fatica immane che deve fare perché la sua vita non vada tutta in pezzi. E’ troppo facile, dall’esterno, dire cosa si dovrebbe o non dovrebbe fare”. E la frase strappacuore del disco, “Come sta male l’amore in bocca a chi non lo sa dire, in mano a chi non lo sa fare”, nasce da una presa di coscienza: “Non si può definire amore, ciò che amore non è: i soprusi, la violenza fisica e psicologica, la gelosia distruttiva, non lo sono”.
Il featuring con Bianco e l’importanza di irradiare bellezza
Tra i valori positivi che Giulia con questo disco ha inteso riportare a galla, c’è spazio anche per l’amicizia, tutta nel featuring con Bianco su “Qualcuno che ti vuole bene”: “Quando ho scritto il pezzo ho pensato da subito che mi sarebbe piaciuto cantarlo con lui. Sono stata felicissima quando ha accettato e soprattutto quando ha deciso di scrivere la sua parte del brano. Così la collaborazione è stata più solida e partecipata”.
E poi una lista di collaborazioni dei sogni che va da Daniele Silvestri a Cristiana Donà, passando per Giovanni Truppi e la cantantessa Carmen Consoli. Anche questa una scelta di poetica ben precisa: tutti cantautori e cantautrici italiani, perché a Giulia Pratelli piace ascoltare il suono delle parole, avvertirne il peso quando le pronuncia.
Ritorniamo in superficie con una promessa: “Quando ci succede qualcosa di brutto, ci diciamo sempre che ne usciremo migliori. Ma la verità è che ognuno affronta il dolore come può: forse dovremmo smetterla di chiedere a noi stessi e agli altri più di quanto possono darci”.
Ma prima chiedo a Giulia, che è una con le spalle forti, come e se si può imparare a rimanere impermeabili ai giudizi degli altri, dove si può trovare il coraggio di sollevarsi da terra quando gli altri insistono che non sarai mai in grado di volare. E lei ritorna con la mente alle levatacce fatte all’epoca di “Edicola Fiore”: “Una volta Rosario condivise su Internet una mia cover su A mano a mano di Rino Gaetano. Qualcuno, tra i commenti, mi diede dell’incapace e io ci rimasi malissimo. Ci rimango sempre male quando le critiche sono feroci e si fanno scudo dell’anonimato di una tastiera. Non ci si deve abituare alla crudeltà, si deve lottare tutti i giorni perché le cose cambino. Alla cattiveria bisogna rispondere irradiando bellezza. Io lo faccio con la musica”.
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