11 Giugno 2015 - 12:47

Dalle Gole del Sammaro alla gola del Capitano

Questa settimana prendiamo gli Alburni per “la gola”. A ZONzo ancora nel Cilento, dopo averlo sbirciato dalle vette e dalle barche, ci lasciamo inghiottire dalle Gole del Sammaro

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La straordinarietà del Cilento sta nel suo svelarsi sempre un pò alla volta. Coerente con il suo modo di essere slow, non si dà mai in una sola veste, ma sorprende ad ogni incontro con angoli sempre nuovi che credevi di aver già visto, e spettacoli quasi improvvisi che si svelano silenziosi.

gole del sammaro

Il Cilento è una terra imprevedibile.

Oltre le vette degli Alburni, giù i borghi arroccati, dentro i paesi fantasma dichiarati patrimonio dell’Unesco, dopo le valli, le grotte, le calette segrete del mare e le oasi meravigliose, si nascondono ancora altri paradisi per curiosi outdoorini vagabondi come noi.

Perché il Cilento non ostenta mai le sue bellezze, ma gelosamente le nasconde.

E perdigiorno come noi, che non vorremmo mai tornare a casa e che oziosamente ci concediamo alle meraviglie della natura, soprattutto se ancora inesplorate, questa volta, anche senza guida che “teneva il passo ai nostri passi”, ci siamo dati e abbandonati ad un outdoor autogestito.

Abbandonati a qualche peccato di gola a partire da “quelle del Sammaro”.

Dopo aver macinato km lungo la A3 Salerno Reggio Calabria con le nostre bat-car (o meglio out-car, perché sono “fuor”i come noi), tra inciuci peregrini e cover a voce alta sveliamo dal finestrino i paesaggi che scorrono sul confine tra il Cilento e il Vallo di Diano.

Dopo un tempo indefinito nei nostri cervelli – ricordo che gli outdoorini hanno un orologio cerebrale molto diverso da quello biologico, motivo per cui si tengono giovani, qualcuno addirittura in fasce – arriviamo finalmente a Sacco.

Disteso alle falde del monte Motola di 1700 m di altezza, Sacco emerge in uno scenario aspro in cui appaiono come vicini di casa i confinanti Roscigno, Corleto Monforte, San Rufo, Teggiano, Piaggine, Laurino. Tutti borghi accovacciati tra il Passo della Sentinella e la Sella del Corticato, i due principali passi d’accesso al Vallo di Diano.

Scendiamo da Sacco per una strada sterrata dopo aver superato il ponte altissimo di 168 m di altezza, costruito negli anni ’50 proprio sulla gola per collegare Sacco alla strada provinciale

Traghettare il ponte e affacciarsi sulla “montagna spaccata”, sotto la quale poi scopriremo nascondersi lo scorrere delle acque, è da brividi.

gole del sammaro

Scendiamo quindi lungo un sentiero canticchiando e pensando a quanta strada abbiamo questa volta fatto fare alle nostre auto, rubandola ai nostri piedi.

In fondo quando il gatto non c’è i topi ballano.

E mentre siamo concentrati sui selfie che ci rendono sempre un pò deformi, iniziamo a sentire lo scroscio dell’acqua. Siamo vicino alle nostre Gole.

Strette, profonde e selvagge, le Gole del Sammaro sono il frutto del lavorio dell’acqua che va a confluire nel fiume Calore e che per millenni ha levigato queste rocce calcaree rendendole letto sul quale potersi liberare. Bianco il fondo e limpida l’acqua: lo spettacolo della sorgente Sammaro è un tripudio di colori e giochi di luce.

Le Gole del Sammaro – che è uno dei principali subaffluenti del Calore salernitano – sono oggi un’area protetta, classificata dall’Unione Europea come sito di interesse comunitario (Sic).

Le Gole sono caratterizzate da cascate, pareti che quasi si toccano rendendo il corridoio roccioso così stretto da divenire in alcuni punti quasi grotta, piscine pensili lungo il torrente e una lussureggiante vegetazione che ne rendono un luogo d’interesse geologico, botanico e faunistico.

Denudati chi più chi meno, resistiamo quasi tutti alla tentazione di tuffarci. Solo qualche irriducibile temerario ama fare Tarzan con una procace Jane.

L’effetto tonico è assicurato, ci sono temperature da Titanic.

gole del sammaro

Ci addentriamo nella roccia incassata e ci sembra di venire a conoscere la natura nelle sue parti più intime e segrete.

Siamo nelle sue grotte umide e ci sentiamo un tutt’uno con queste pareti rocciose e levigate.

Sotto le nostre gambe le ribelli acque che andranno a confluire prima nel Ripiti, poi nel Fasanella ed infine nel Calore, sotto Castel S. Lorenzo. 

Scoprire la Natura è come fare l’amore con la vita.

Ma dire vita per noi è dire tavola. Non esiste vera felicità senza la piena condivisione. E noi non conosciamo momento di scambio migliore se non quello che ci rende il convivio.

Siamo generosi noi dell’Outdoor. Ma soprattutto, dopo la scoperta delle gole, molto bisognosi d’ingoiare qualcosa.

Così dalle chiare e dolci acque del Sammaro puntiamo, per il nostro peccato capitale preferito, alla gola del “Capitano” di Caggiano.

Capitano mio capitano”, anche noi approfittiamo dell’attimo fuggente per finire i nostri piatti ed attingere a quello del compagno più lento. Ma più che Robin Williams alle prese con i suoi studenti, sembriamo i Totò di turno in un fagocitare misto di miseria e nobiltà.

Grazie ad antiche ricette tramandate a voce e prodotti biologici che portavano il profumo della terra ruspante del vallo di Diano, abbiamo scoperto il post Carmelina: la signora Caterina.

Il pasticcio rustico caggianese, il cuculo di fiori di zucca di Auletta, la “mbuttura” di vitello di Caggiano, il pane cotto con l’uovo, le patate novelle e aromatizzate alla sandagilesa; olio cilentano, salumi, formaggi, legumi e Lui, il “nettare di Bacco”, che ha in noi lo stesso effetto della pappa reale. Ci riprende da ogni affanno fisico e mentale.

A tavola scopriamo che ogni outdoorino sta ad un vero trekker come la carrozzeria di una Ferrari ad un motore della 500.

gole del sammaro

Un pò pezzotti come sportivi, ma molto ruspanti o veraci, a seconda del contesto, e ottimi compagni di viaggio, gli Outdoorini portano in sé ad ogni escursione la capacità di adattamento e di mimetizzazione che appartiene ad una natura errante e sperimentatrice.

In questo caso ci siamo resi leggermente agresti.

La goliardica compagnia in tavola, la magia del cibo come della natura, l’apertura dell’animo nelle viscere degli Alburni, hanno determinato l’umore di tutti i commensali.

Siamo così appagati, che nel pot-pourri di piatti e fragorose risate sveliamo del tutto gli arcani con do Nascimento e Wanna Marchi.

Fuori il consueto rovescio pomeridiano – a’ buriana – dentro, su questa tavola e per gli stessi poteri accreditateci dal Dio Bacco e dalla Dea Demetra, in “outdoor veritas”.

INNO ALLA CELLULITE

“Oh incanto della cicciona

Gamba di grandezza elefantina
Che al grasso si abbandona
Oh maestà divina
Della coscia avvolta in gelatina
…Evviva le adipose
Adoratrici dello sforzo nullo
che lasciano le odiose
fatiche al mulo
e mangiano tutto ciò che ingrossa il culo”
Enrique Serna

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