GOMORRA 2: una fiction che esalta la camorra?
A pochi giorni dal ritorno sulle scene della seconda stagione della serie TV tratta dal romanzo di Roberto Saviano, torna anche il dibattito sulla serie: é una fiction che esalta la camorra o un male necessario? Scopriamolo in questo special offerto in esclusiva da Zon.it
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Lo dico subito: Gomorra non mi piace e non lo guardo.
Ho letto il libro, mio malgrado, e sono convinto che, nel romanzo di Saviano, ci fossero delle cose che, tutto sommato, si potevano raccontare.
Il successo, infatti, è stato perfino superiore alle aspettative, e poi, come spesso succede, da Gomorra si è tirato fuori il film, poi la serie TV e quindi il merchandising.
Insieme a Gomorra-fiction, però, sono venuti i tormentoni di “Deux Frittures” (come dicevano quelli di Jackal) e “Staj senza penzier” che troppi ragazzini, oggi, ripetono a pappagallo imitando in maniera inequivocabile e inquietante le movenze di Savastano e company, che sono nient’altro che delinquenti.
E qui sta il problema.
Nessuno, o quasi nessuno, si è chiesto quale sarà l’effetto di mettere in piazza la Camorra sottoforma di Show quando le telecamere dirette dal pur bravissimo Stefano Sollima, se ne saranno andate.
Ora, avete mai visto il film “Il Camorrista” di Tornatore, quello basato sulla vita di don Raffaele Cutolo?
Se non l’avete visto, fatelo, perché intorno a quel film si dissero le stesse cose di Gomorra: i fatti si devono sapere, è storia, non ci possiamo nascondere.
Oggi, però, quel film è il preferito di tutti i camorristi, ci siamo chiesti il perché?
Il motivo è che mitizza il ruolo del criminale, trasmette l’immagine del guappo in un mondo nel quale non esistono i buoni (che spesso sono etichettati come poveri disperati idealisti), e in un mondo dove si tagliano le teste, si uccidono donne che vogliono farla finita, ci si fa i selphie davanti alle tragedie, troppi ragazzi venuti al mondo senza un perché vengono spinti a trovare più vantaggioso vivere poco tempo, purché pieni di donne e soldi.
La stessa cosa de “Il Camorrista” la fa Gomorra, con poche differenze, perché la camorra è qui, viva, reale, e la vediamo tutti i giorni nei gesti prepotenti di chi getta un mozzicone per terra, deposita la spazzatura quando non è ora, parcheggia in seconda fila, picchia un giornalista ottantenne perché si presume ci abbia rigato la macchina.
Gomorra è esaltazione del crimine, di qualcosa che è vivo oggi nel sostrato quotidiano, ed è ben diversa da “Il Padrino” di Coppola, da “Quei Bravi Ragazzi” di Scorsese, oppure in piccolo, per l’Italia, di “Romanzo Criminale”.
Quelle sono storie dei caduti, ai quali si mostra chiaramente una parabola che per tutti i criminali è in discesa: è finita male per don Vito Genovese (che ispirò Vito Corleone ne Il Padrino e fu tra i più grandi capimafia di New York), è finita male per il Libanese, per il Dandi e per il Freddo (con Franco Giuseppucci e Renatino De Pedis che sono morti, e con Maurizio Abbatino che è un pentito e collaboratore di giustizia). Lo stesso “Camorrista” di Tornatore, se fosse uscito oggi, avrebbe avuto un valore diverso che nel 1986, perché nel 2016 la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo non c’è più.
In Gomorra non racconti niente di nessuno…inventi i personaggi e li fai “masti” ed è come se dicessi: “Così si campa, così si vive”, sfruttando l’immagine già negativa di una città che il paese ha già bollato come fatta di lavativi prepotenti e senza leggi.
Allora nessuno si indigni se l’immagine di Napoli che si farà il 90% delle persone che guarda Gomorra (il restante 10% sono napoletani che lo sanno) sarà proprio questa, e i politicanti separatisti, insieme ai cori da stadio inneggianti alla catastrofe dell’eruzione del Vesuvio, diventeranno persino più forti.
Questi di cui parla Gomorra sono gli stessi che ci hanno inquinato la terra, sono gli stessi che, a Caivano, dicevano ai figli di proteggere un maniaco pedofilo responsabile di due omicidi di cui tutti sapevano, gli stessi che sparano in mezzo alla folla quando devono ammazzarsi tra loro e poi fanno vittime tra ragazzi innocenti.
“Napule é tutto nu suonno, e a sape tutto ‘o munno, ma nun sanno ‘a verità“, diceva il mai compianto abbastanza Pino Daniele.
A Napoli l’hanno celebrato fino all’inverosimile, ma ci fosse stato un solo fan che si fosse chiesto che cosa vuol dire “nun sanno ‘a verità“!
Quella verità di cui parlava Pino sta qui, almeno secondo chi scrive: la verità è quella che c’è un popolo laborioso come pochi, che fa il suo dovere tutti i giorni in mezzo alle difficoltà di una terra difficile dove c’è tanta omertà, e vede la sua onestà puntualmente offesa da chi la cancella persino in uno show televisivo, perché ‘o mafiuso fa più spettacolo di chi si alza tutti i giorni alle 5 per andare a faticare davvero.
Ma alla Napoli che ancora dorme (perché una parte s’é scetata, per fortuna), basta fare le fiaccolate per lavarsi la coscienza nella lotta alla camorra.
Per loro finisce lì. E pure a Saviano forse è bastato sfruttare una cosa che sapeva bene per avere il suo quarto d’ora di fama e per “ce fa ‘e sord ngopp”.
Non sappiamo se Roberto avesse denunciato alle forze dell’ordine ciò che sapeva prima di scrivere il libro, cosa sarebbe successo…se ne avrebbe trovato lo stesso un vantaggio e oggi sarebbe dimenticato come quelli che in Sicilia si ribellano al pizzo ma nessuno sa chi sono.
Di fatto, lui e tutto il resto continuano a fare quello che il paese intero, l’Italia, fa da 150 anni. Sfruttare una terra che non era la loro ai tempi del risorgimento per “apparare” i guai loro.
Questi sono tanti novelli Enrico Cialdini (il tenente del regio esercito italiano che commise crimini di guerra dimenticati nell’ex-Regno delle Due Sicilie). Distruggono tutto e se ne vanno con le tasche piene.
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