Grandi elettori, l’ago della bilancia delle presidenziali Usa
Grandi elettori, l’ago della bilancia delle presidenziali Usa. In attesa della fatidica notte in cui si eleggerà il successore di Barack Obama vi spieghiamo il meccanismo che deciderà il prossimo inquilino della Casa Bianca
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Gradi elettori, l’ago della bilancia delle presidenziali Usa. In attesa della fatidica notte in cui si eleggerà il successore di Barack Obama vi spieghiamo il meccanismo che deciderà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Iniziamo con una precisazione: l’8 novembre non è l’unico giorno valido per votare, bensì l’ultimo. In molti Stati, infatti, da settimane gli elettori stanno esprimendo il proprio parere. Il sistema americano, come forse non tutti sapranno, non è ad elezione diretta, ma si arriva al voto finale attraverso i cosiddetti grandi elettori.
Ognuno dei 50 stati esprime un numero di grandi elettori pari alla somma dei suoi deputati e dei suoi senatori, il tutto in base alla popolosità di ogni stato. Dunque gli stati più grandi, e quindi con una popolazione maggiore, possono esprimere un numero più alto di grandi elettori. Ogni candidato ha collegata a se una lista di grandi elettori, ovvero persone scelte dagli stessi comitati elettorali, spesso funzionari di partito. In 48 stati su 50 questi vengono proclamati attraverso il sistema maggioritario.
In pratica, il candidato che prende un voto in più degli altri si porta a casa tutti i grandi elettori espressi dallo stato, ciò significa che non c’è alcuna differenza tra vincere con il 10% o con il 90%, anche uno solo in più fa la differenza. Un esempio per tutti: Maine e Nebraska. Questi stati sono divisi un due collegi congressuali, per cui due grandi elettori vengono assegnati a chi prende un voto in più nell’intero stato, e poi un grande elettore viene assegnato a chi prende più voti all’interno di ognuno dei collegi congressuali.
Il collegio elettorale
Il nuovo Presidente per essere eletto avrà bisogno della maggioranza assoluta dei 538 grandi elettori, e l’organo che li riunisce si chiama collegio elettorale. Questo organo non si riunisce mai, sono i grandi elettori che si radunano, stato per stato, il lunedì successivo al secondo mercoledì di dicembre, con lo scopo di votare per un candidato alla presidenza e uno alla vicepresidenza. Dopo aver preso questa decisione, daranno la comunicazione a Washington, e sarà li allora che la nomina sarà un fatto compiuto.
Paradossalmente, però, in base al funzionamento del sistema maggioritario, è possibile che un candidato possa ottenere la maggioranza dei voti totali ma la minoranza dei grandi elettori. Questo determinerebbe la perdita delle elezioni. Ma esiste anche la concreta, paradossale possibilità che nessun candidato ottenga il numero necessario di grandi elettori, 270. Esempio: il pareggio. Dal momento che i grandi elettori sono un numero pari, è possibile che finisca 269 a 269.
Altro esempio: se ci sono più di due candidati a contendersi la maggioranza, e nessuno arriva al numero sufficiente. In ognuno di questi due ipotetici scenari l’elezione del presidente e del vicepresidente andrebbe decisa dal Congresso, che verrebbe comunque eletto insieme al Presidente, l’8 novembre, e come lui si insedierebbe a gennaio. Nel caso si verifichi una di questa due eventualità, dunque, il presidente sarebbe scelto dalla Camera dei Rappresentanti, ma ogni delegazione statale avrebbe diritto a un solo voto. Ciò significa che stati chiave come la Florida o il Texas dovrebbero scegliere prima il proprio candidato.
Vi è venuto il mal di testa? Pensate se poi stanotte nessuno dei due raggiunge la maggioranza, immaginate Trump che sproloquia sull’illegittimità del voto e la Clinton che protesta per il riconteggio dei voti. Per favore no, decidetevi stanotte e fatela finita!
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