House Of Gucci: Scott, il kitsch e l’esagerazione
Con il suo “House Of Gucci”, Ridley Scott reitera gli estremismi di “The Counselor”. E confeziona la sua opera più spiazzante ed esagerata
Si può etichettare il biennio 2020-2021 come un biennio di ripresa. Una rinascita per il cinema in generale, alle prese con il Covid e ora finalmente fuori dal tunnel. Da questo tunnel, però, sono usciti anche tanti autori e registi che, negli ultimi anni, erano passati un po’ in sordina. Tra questi vi era sicuramente Ridley Scott. In questi due anni, il regista ha saputo risollevarsi con tre prodotti assolutamente interessanti (ognuno dal proprio punto di vista): la serie TV “Raised By Wolves” e i due film “The Last Duel” e “House Of Gucci“.
Su quest’ultimo gravavano le peggiori preoccupazioni. In tanti hanno temuto le corde di Scott nei confronti di materiale sensibile (quale una delle vicende di cronaca più controverse mai conosciute dall’opinione pubblica). Ebbene, già a partire dai primi trailer, si poteva notare come la rappresentazione della realtà da parte di Scott fosse completamente travisata.
Come si può ben notare dal film stesso, però, “House Of Gucci” non è solo un film biografico che si sofferma su un atto di cronaca (quale l’omicidio di Maurizio Gucci da parte di Patrizia Reggiani). Anzi. Può essere tranquillamente caratterizzata come l’opera probabilmente più “estrema” da parte dello stesso regista, che cavalca l’onda dell’esagerazione in modo lucido e intelligente. In questo modo, Scott tradisce quello che è il genere di partenza (il biopic). Lo contamina con distorsioni e pretenziosità funzionali al suo obiettivo: quello di descrivere un mondo laccato e patinato, con tutte le sue contraddizioni.
Ma andiamo con ordine.
“Father, Son and House Of Gucci”
Come ogni biopic che si rispetti, Scott lascia la trama dell’intera vicenda pressoché inalterata. Dunque “House Of Gucci” si concentra subito su Patrizia Reggiani (Lady Gaga), giovane e attraente donna che lavora come responsabile d’ufficio nella piccola azienda familiare di trasporti. Ad una festa, la ragazza conosce Maurizio Gucci (Adam Driver), erede del 50% delle quote azionarie della casa di moda omonima.
I due si innamorano e iniziano una relazione, che sfocerà in un matrimonio. Questo nonostante i multipli avvertimenti a Maurizio da parte del padre Rodolfo (Jeremy Irons). Prima della morte di quest’ultimo, lo stesso riscrive Maurizio nel suo testamento, non riuscendo però a firmare il documento per trasferire le azioni Gucci al figlio. Grazie ad azioni poco lecite da parte di Patrizia, però, il figlio riesce ad impossessarsi del 50% delle azioni dell’azienda.
Nonostante tutto, questo si rivelerà solamente l’inizio di un piano ben più complesso e ampio da parte di Patrizia nei confronti del marito. Di lì in poi, inizierà una lotta di potere che avrà come unico obiettivo quello dell’acquisizione definitiva e del possesso del marchio di casa.
Scott e l’importanza della società dell’immagine
“House Of Gucci“, senza dubbio, si caratterizza per essere una delle opere più concettualmente estreme e spiazzanti non solo del 2021, ma anche dell’intera carriera di Scott. Il regista si presenta al pubblico con uno stile esagerato, tronfio, che declina in modo camp la rappresentazione di quello che è un mondo laccato e patinato all’inverosimile. Dunque si spinge ulteriormente sull’acceleratore. Tutto per riflettere su una chiave fondamentale del film: la società artistica attaccata al culto dell’immagine.
Quest’immagine è costantemente tradita dalla sua stessa società, che la contraffa e la tarocca fino ad accentuarne la dimensione più falsa. E quest’operazione è compiuta esclusivamente sia in nome del prestigio che ne consegue (che deriva dall’affidabilità dell’immagine) sia del valore effettivo che l’immagine incarna. Proprio in virtù di questo discorso, quelle di Scott sono immagini laccate, patinate all’inverosimile con estrema cognizione di causa. I dialoghi sono tendenti alla soap opera, alcuni addirittura alla pubblicità, proprio per accentuare questa dimensione di falso.
“House Of Gucci” è un film estremo. Un film che non nasconde anche una certa riflessione (dura) sul mondo artistico (cinema compreso) e sulla sua totale inefficienza a produrre novità (tale da non nascondere il suo fetish per la “copia“, come si vede nel film). Ed è un film che trasgredisce il genere e lo ibrida. Si potrebbe parlare, effettivamente, di un vero e proprio gangster movie in pectore (con alcune citazioni anche esplicite provenienti da “Il Padrino“). Scott spiega non solo la contraffazione dell’immagine, quanto anche le dinamiche di potere (e i fragili equilibri che esse comportano) su cui poggia una qualsiasi organizzazione criminale.
In questo modo, è anche facile associare ogni membro della famiglia Gucci ad un archetipo del mafia movie anni ’70. Ma il punto è che il tutto avviene non trasgredendo la regola base del film stesso: quello di descrivere un mondo pieno zeppo di figurine utili solamente ad apparire. Ed è così che Jared Leto (bravissimo) si presta ad un’interpretazione in equilibrio grottesco tra fragilità ed esuberanza, con un lavoro linguistico assolutamente adorabile. Allo stesso tempo, Al Pacino si ricorda dei suoi passati gloriosi e diventa appariscente tale da cavalcare la caricatura.
Un film, dunque, dove anche la cifra stilistica usata si ricollega all’operazione.
Il kitsch
“House Of Gucci” è un film che vive delle sue estremità, dei suoi motivi costruiti e ultra-impomatati. Di fatto, Scott lascia volontariamente a casa il “buon gusto” e si diverte nel trasgredire. La macchina da presa tallona e mette sempre i suoi protagonisti al centro dell’inquadratura, riprendendoli nei loro atteggiamenti più assurdi ed esagerati.
Ne consegue che anche gli atteggiamenti e i momenti più drammatici sono ripresi sempre con un certo stile grottesco (come può essere esemplificato dalla scena del foulard). Ciò permette a Scott, in “House Of Gucci“, di irridere di fatto qualsiasi tono narrativo serioso. Nonostante tutto, però, il regista resta comunque fedele alle sue geometrie.
La macchina da presa resta infatti sempre rigorosa pur nel suo stile da fiction televisiva. Il kitsch messo in evidenza, di fatti, non straborda mai e non diventa mai così tanto eccessivo né tronfio. Anzi, si adagia su tonalità molto minimali e asciutte (messe in evidenza anche da una fotografia cupa decisamente interessante). Così, il compito di rappresentare e ricostruire scenicamente il mondo della moda anni ’80 riesce da due lati.
Il primo è ovviamente la sua riproduzione fedele (soprattutto dell’immaginario modaiolo ed eccessivo della moda stessa di Gucci). Il secondo è naturalmente la ricostruzione scenica fedele al trend di quegli anni, con tutti i loro status symbol (dalle discoteche glam alla moda “cotonata” degli Eighties).
Si tratta dunque di una costruzione ben calibrata nella sua esagerazione, che esalta ulteriormente l’operazione del regista.
Lady Gaga
La vera regina, il vero valore aggiunto di “House Of Gucci“, infine, è senza dubbi lei: Lady Gaga. Lei e Adam Driver formano una coppia asincrona, dove entrambi si muovono in direzioni opposte con risultati molto differenti. Il secondo, infatti, resta ben ligio al suo ruolo, tramite una recitazione abbastanza equilibrata e mai fuori dai gangheri. Questa misurazione nell’interpretazione, in qualche modo, controbilancia e da un lato spiazza, per la facilità con cui viene attuata, mentre dall’altro non convince del tutto, in quanto si rivela un po’ fuori posto.
Dall’altra parte, invece, la popstar, di fatto, si consacra sempre di più come attrice e star a tutto tondo. La sua Patrizia Reggiani vive soprattutto delle sue espressioni ambigue e intense, senza però dimenticarsi di cavalcare l’anima deviante del film. Ciò comporta, di fatto, la sua collocazione come una femme fatale d’altri tempi. E così si rende atipica nella sua esagerazione “glam” e grossolana perfino nelle sue espressioni maccheroniche (straordinarie soprattutto in lingua originale) e nei suoi gesti più inconsulti, da rasentare la blasfemia, come “Father, Son and House Of Gucci“.
Che è un po’ il riassunto di questa fantastica e geniale sortita di Ridley Scott, che ancora una volta mostra la sua estrema lucidità.
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