How To Get Away With Murder: una storia di sopravvissuti
Giovedì scorso in America è andato in onda il finale di serie di “How To Get Away with Murder”: ecco cosa ci lascerà la serie
“Sono Anna Mae Harkness (…) e sono una sopravvissuta”: inizia così l’appassionata arringa finale di Annalise Keating che, nell’ultimo episodio di “How To Get Away With Murder” (andato in onda negli Stati Uniti lo scorso giovedì) deve convincere la giuria di non essere colpevole di tutti gli orrendi crimini di cui lo Stato la accusa. E lo fa puntando sull’autenticità, come autentica, viscerale, muscolare (e da Emmy immediato) è la performance della sua interprete Viola Davis.
A ben vedere, tutta la serie creata da Peter Nowalk è una “storia di sopravvissuti”: tutti i personaggi che ruotano attorno alla carismatica Keating hanno qualcosa di “rotto” dentro, a cui tentano di dare una nuova possibilità e una nuova forma, creando quella che sembra una famiglia, un tessuto sociale in cui riconoscersi ed essere visti attorno ad Annalise, per tutti mentore e modello da cui affrancarsi, croce e delizia, bastone e carota
Forse più di uno non sarà d’accordo con me, ma tra i Keating Five la mia preferita rimane in assoluto Michaela (Aja Naomi King): per la sua fame, per la sua voglia di farcela, per la sua voglia di primeggiare nonostante il mondo e la vita l’abbiano sempre relegata al ruolo di ultima. Ultima perchè donna, ultima perchè nera.
Michaela vuole avere per se una facoltà che alle donne come lei sembra quasi preclusa: quella di scegliere (un marito, lo studio in cui fare tirocinio) e di essere felice: “Ho già sofferto abbastanza. E’ così grave scegliere di non soffrire più, se si può?”, dice lei chiarendo la sua essenza, in un finale pieno di sfumature.
Il finale
Il finale di serie, in definitiva, è il migliore che potessimo aspettarci da “How To Get Away With Murder”: formalmente è quasi un ritorno alle origini, con il suo aprirsi su una scena campale e poi andare a ritroso per vedere come si è arrivati a quel momento e cosa è successo dopo.
Nella migliore tradizione Shonda, tra sangue e lacrime, il finale di serie ci regala momenti concitati (uno in particolare) spingendosi addirittura oltre: nelle battute finali, in maniera oserei dire commovente, la serie immagina il futuro.
Fa stranissimo vedere ciò che è rimasto dei Keating Five con i capelli bianchi e il volto segnato dalle rughe. L’occasione per il loro ritrovarsi è il funerale di Annalise Keating, proprio come quello immaginato dalla stessa all’inizio della stagione finale; a ricordare l’avvocatessa c’è anche un ragazzo estremamente somigliante a Wes Gibbins (Alfred Enoch).
I fandom della serie all’inizio si erano scatenati con le teorie, arrivando addirittura ad ipotizzare che Gibbins potesse essere in qualche modo risorto: ma bastano poche battute, per capire che quel ragazzo è Cristopher, il figlio di Laurel (Karla Souza).
E’ lui idealmente, ora che è diventato professore di Penale alla Middleton Law School a proseguire l’eredità di Annalise, pronto ad insegnare ad una nuova classe di studenti “Come farla franca in un’accusa di omicidio”.
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