Il Sacrificio Del Cervo Sacro: la tragedia greco-kubrickiana di Lanthimos
Il regista greco torna all’opera con Il Sacrificio Del Cervo Sacro, thriller psicologico in salsa greca con Colin Farrell e Nicole Kidman
Chi conosce per bene Yorgos Lanthimos, sa benissimo che il regista è uno dei meno convenzionali sulla scena internazionale odierna. In un modo alquanto moderno, riesce a rappresentare e confrontarsi con varie realtà, passando dall’ambiente familiare di Kynodontas (per gli amici, Dogtooth) e Alps a quello distopico di The Lobster. Ed ecco che, nella sua nuova fatica, Il Sacrificio Del Cervo Sacro, si insinua in una nuova dimensione: il thriller psicologico.
Il Sacrificio Del Cervo Sacro, già presentato a Cannes lo scorso anno, è stato distribuito in anticipo negli Stati Uniti. In Italia, è arrivato lo scorso 28 Giugno, con colpevole ritardo. Lanthimos ha definitivamente consolidato il sodalizio con Colin Farrell, affiancandogli una Nicole Kidman in versione rigenerata.
C’è chi, per questo film, ha tirato in ballo un mostro sacro come Kubrick. Altri hanno invocato Haneke. La verità è che entrambi i registi sono chiamati in causa, ma il cuore della storia deriva dalla Grecia. Precisamente dalla tragedia Ifigenia In Auride di Euripide. E il regista, della tragedia greca, incorpora proprio una violenza bruta, un malessere psicologico dettato da una situazione senza via d’uscita. Un malessere che agonizza lo spettatore e lo inquieta, anche nelle inquadrature più semplici.
Un’operazione andata a male
L’incipit è brutale, allegorico e fatale allo stesso tempo. Lanthimos se la gioca così: un minuto di schermo nero, musica tragica che avanza piano piano (lo Stabat Mater di Schubert ottima scelta) e ripresa dall’alto di un cuore palpitante nel mezzo di un’operazione chirurgica. Definire disturbante l’inizio è davvero riduttivo. D’altronde, è solo il preavviso di ciò che segue durante tutto il film.
Steven Murphy (interpretato da un Colin Farrell molto incline al Tom Cruise di Eyes Wide Shut) è un chirurgo di successo con una bellissima moglie (Nicole Kidman) e due figli (Raffey Cassidy e Sunny Suljic), vive una vita apparentemente perfetta. Nel suo passato, però, c’è una macchia nera: la morte di un uomo durante un’operazione al cuore, causata dal suo stato d’ubriachezza.
Per lenire il suo senso di colpa, Steven si occupa del figlio della vittima, Martin (un Barry Keoghan in versione stratosferica). L’introduzione del ragazzo nella vita familiare, però, coincide con un’ondata di caos e distruzione per il suo stesso “nido”, e ad un climax discendente negli eventi del film, che lo faranno sprofondare in una tragedia dal sapore amarissimo.
Il cinema paralizzante di Lanthimos
La grande dote del regista greco sta tutta nel sorprendere, ogni volta, il suo pubblico. Ogni suo film, infatti, denota almeno un aspetto nuovo. In Alps vi era la potenza della famiglia, in The Lobster l’universo distopico unito all’assenza quasi totale di dialoghi. Il Sacrificio Del Cervo Sacro appare come una perfetta unione dei due film precedenti. Ad essi, però, il cineasta aggiunge due componenti fondamentali: delle inquadrature magnifiche e una violenza bruta, a tratti sadica.
Il grande merito sia di Lanthimos che del suo “fido scudiero” Filippou sta tutto nel far percepire allo spettatore l’insidia anche nell’inquadratura più banale. La minaccia dietro ad una situazione quotidiana e semplice. Anche quando non succede nulla di eclatante, nel film si percepisce una tensione e di consapevolezza inevitabile che qualcosa debba accadere. Altro merito va dato alle musiche di Ligeti (do you remember Kubrick?), che contribuiscono a dare un’atmosfera di panico e di angoscia degna dei migliori atti epici.
Abbiamo parlato prima di Euripide. Certo, il modello di base è quello, ma durante il film si susseguono varie reminiscenze, inerenti anche alla Bibbia (la scelta di Salomone può essere utilizzata come metafora per il finale). I dialoghi, scarni ed amorali, molte volte anche apparentemente futili, mettono a nudo la natura psicologica debole dei protagonisti, impegnati in un’aspra lotta tra la vita e la morte. Una lotta che dà il là ad un finale che è sì poetico, ma è quanto di più sofferente e tragico mai visto nel cinema.
La recitazione come punto cruciale
Una nota di merito, come sottolineato anche in precedenza, va anche agli attori. Il regista pone una parte importantissima delle sue opere nella recitazione e nell’interpretazione. Detto che Colin Farrell conosce già i metodi inquietanti di Lanthimos, questa volta riesce a dare un’interpretazione più emotiva, meno asettica rispetto al suo predecessore (addirittura, in una scena si lascia al pianto dalla disperazione).
Ma i veri assi de Il Sacrificio Del Cervo Sacro si chiamano Nicole Kidman e Barry Keoghan. La prima ritorna all’altezza della sua fama, dopo alcune prestazioni oscure. Passionale e carnale, regala una prestazione incredibilmente intensa e sensibile nella prima parte, salvo cambiare completamente nella seconda e diventare fredda, glaciale. Imperturbabile di fronte anche alle più impellenti disgrazie. Un cambio di passo notevole.
Il secondo, invece, regala una performance straniante e implacabile, in tinta perfetta con i colori del film. Un villain che sa come muoversi, capace di controllare i corpi altrui a proprio piacimento. Questo è ciò che lo rende durissimo da affrontare, pur motivando la sua scelta tramite la vendetta. Un personaggio che non si riesce ad odiare del tutto, pur risultando viscido.
Altra nota di merito per Raffey Cassidy e Sunny Suljic. A dispetto della giovanissima età, infatti, i due recitano come adulti maturi, con piena padronanza del mezzo. Una grandissima interpretazione, utilissima nell’intreccio filmico.
Le pecche sono veniali
Certo, Lanthimos non ha creato l’opera perfetta. Anche la sua ultima creatura non è esente da critiche. Tuttavia, possiamo definire i difetti di questo film davvero delle inezie, in confronto alla struttura magistrale della stessa opera.
Un punto “debole” (se così si può dire) si potrebbe definire, paradossalmente, proprio la sceneggiatura. Quella sceneggiatura quasi perfetta, scritta con Filippou, che lamenta però qualche incongruenza. Una di queste è proprio il finale. Un finale straordinario, come detto prima, se non fosse per la veridicità dello stesso. La roulette russa, con tanto di tragedia, fornisce una sensazione di disperazione molto estraniante, credibile nella dimensione cinematografica. Ma si stenta a credere che, nella vita vera, un genitore abbia il coraggio di fare una cosa simile.
Ma forse, anche questa volta il volere del regista è allegorico. Mostra in modo brutale e palese cosa siamo diventati: esseri senz’anima, che pur di non sacrificare sé stessi preferiscono compiere un gesto assurdo, senza né capo né coda.
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