14 Marzo 2017 - 14:34

Jobs Act, la bocciatura ora arriva dalla Fondazione Adapt

Jobs Act

Il Jobs Act viene bocciato anche dalla Fondazione Adapt, centro studi fondato da Marco Biagi. Al netto delle analisi, però, la tragica situazione si palesa osservando l’andamento quotidiano

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Da ormai due anni, la popolazione italiana, per lo più quella che va dai 25 ai 35 anni, è immersa in un turbine di precarietà totale che non permette alcun tipo di programmazione della propria vita.

Una delle cause principali di questo disastro all’italiana è, senza dubbio, il Jobs Act, la riforma del lavoro fortemente voluta dal PD (tutto il PD, dato che l’approvazione ha raccolto i consensi di tutta la maggioranza di allora) e dall’attuale squadra di governo.

Nonostante le proteste, incentrate per lo più sulle conseguenze del provvedimento, e le situazioni al limite della dignità umana, si è sempre cercato di difendere la riforma facendo leva su numeri che, seppur negativi di anno in anno, garantivano un minimo di respiro.

lavoro precario

Jobs Act

Oggi, invece, la bocciatura arriva da una voce più che autorevole, la Fondazione Adapt, e l’analisi che viene fatta dal centro studi voluto da Marco Biagi mette ancor più in imbarazzo coloro che, ancora oggi, ne difendono la bontà.

Più che un’analisi sui dati, a dir poco tragici visto il mancato raggiungimento dell’obiettivo primario (la riduzione della precarietà), in questo caso occorre un’analisi politica che investa tanto l’atteggiamento avuto negli anni di Jobs Act quanto l’inefficace studio compiuto su quanto accade in Italia.

Considerando il primo punto, è necessario considerare due elementi: la fallimentare politica in tema di lavoro e l’insistenza su una “procedura” fallimentare.

Questi elementi, strettamente connessi fra loro, mostrano con quanta leggerezza sia stato portato avanti il Jobs Act, senza considerare né le conseguenze né il clima di instabilità totale imposto dallo stesso.

Pur immaginando un periodo di sperimentazione durante la prima fase, ancora non si riesce a capire come mai, al netto dei dati negativi diffusi da ISTAT e INPS, si è cercato di proteggere a spada tratta il provvedimento invece che invertire la rotta e ripristinare la “normalità”.

A ciò, inoltre, si aggiunge anche la leggerezza con cui si è trattato il tema del lavoro: pur tralasciando i dati, la drammatica situazione italiana in ambito lavorativo era, ed è, evidente già da una semplice constatazione della realtà.

Aumento dei giovani a carico dei genitori, calo drastico delle nascite e blocco improvviso dei piccoli investimenti (impediti anche dall’impossibilità di accedere ad un mutuo a causa dell’instabilità personale), avrebbero dovuto far risuonare l’allarme fra i policy maker, che invece hanno risposto con un classico “va tutto bene, siamo in ripresa” senza destare attenzione a ciò che realmente stava accadendo.

Il fallimento del Jobs Act è, quindi, fin troppo evidente e, fino a quando si incolperanno coloro che non “mettono su famiglia” adducendo motivi prettamente futili, il destino dell’Italia sarà segnato da un lento ed agonizzante declino.

 

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