12 Ottobre 2021 - 12:39

Haaland: rimpianto della Juve testimone di un calcio che boicotta i giovani

Haaland

La Juve non investì sul norvegese quando era giovane. Un fatto che evidenzia come il calcio italiano non supporti adeguatamente i giovani

Ormai è notizia nota quella diffusa dall’amministratore delegato dell’area sportiva dell’Inter ed ex dirigente della Juventus Giuseppe Marotta su Haaland. Intervenuto sul palco del del Festival dello Sport a Trento, Marotta ha rivelato che la Juventus fu vicina a prendere Erling Haaland alla modica cifra di 2,5 milioni di euro. “Lì bisogna avere la forza di andare in extra-budget se ti dicono che è uno che ha talento e da prendere. Lì subentra la creatività finanziaria.” E poi ha aggiunto: “Non penso possa venire in Italia, c’è un grande gap con la Premier League e la Liga.

Un grande rimpianto? Indubbiamente. Si staranno flagellando pensando al passato piuttosto che al presente? Direbbero di no ma in realtà forse lo fanno, magari di nascosto negli uffici quando nessuno vede. E non può che essere così quando hai l’occasione di acquistare un kilo di oro al prezzo di un kilo di rame ma la lasci andar via perché hai già speso abbastanza per l’argento.

Una metafora il cui intento è quello di far capire che la Juventus aveva l’opportunità di accaparrarsi uno dei migliori attaccanti dell’attuale panorama internazionale quando ancora era una bomba inesplosa, ma rifiutò di fare uno sforzo economico in ragione degli investimenti già fatti precedentemente. E quello sforzo economico di 2,5 milioni di euro oggi equivale a 150 milioni di euro, 242 partite e 183 reti tra club, nazionale e nazionali giovanili. La media è quasi di un goal a partita. Tutto questo a soli 21 anni.

Il calcio però oggi è un’industria, un mondo in cui regnano gli affari e spesso in questi contesti si fanno scelte sbagliate. Nulla di impensabile, dunque. Quello che però fa riflettere sono le parole di Marotta. L’ex dirigente bianconero, rivelando il retroscena su Haaland, ha parlato di “avere la forza di andare in extra-budget“, “creatività finanziaria” e “grande gap con la Premier League e la Liga“. Queste espressioni riportano alla mente un tema tanto dibattuto in Italia, ossia quello del “calcio che non dà spazio ai giovani

L’Italia non è un paese per giovani

Non è un paese per vecchi” è il titolo di un film dei fratelli Coen pluripremiato agli Oscar del 2008. Se parlasse del calcio italiano, però, la pellicola dovrebbe intitolarsi “Non è un paese per giovani“. Se ne discute da diversi anni e le parole di Marotta sul caso Haaland riportano alla luce gli scheletri nell’armadio. Sì perché magari si vuole anche nascondere nel più profondo cassetto la verità, ornandola con la crescita delle squadre “big” italiane e i successi della Nazionale (vedasi la vittoria dell’Europeo 2020). Ma la verità torna sempre a galla.

La realtà è che il calcio italiano non investe sui giovani. Ed è inevitabile pensare a questo quando Marotta parla di “gap con Premier League e Liga“, di “creatività finanziaria” e di “avere la forza di andare extra-budget“. E la prova di tutto ciò è che la Juventus avrebbe mandato a giocare in Serie C con la formazione Under23 l’Haaland 19enne. Cioè un ragazzo autore di 28 reti in 22 partite con il Salisburgo, militante in massima serie austriaca e in Champions League. Tutto questo sembra assurdo, anzi lo è. Ma è anche la normalità in un paese che non concede spazio ai giovani calciatori.

Qual è il problema?

In Italia si preferisce l’esperienza, optando anche per giocatori di 32/33 anni magari non del tutto affidabili, piuttosto che scegliere di schierare giovani promesse. E mentre in Inghilterra Eric Garcia, 19 anni, disputa 20 partite con il Manchester City in una stagione (quella scorsa), in Italia si polemizza sulle scelte di schierare Frabotta (sempre per restare in casa Juventus). “Non sono pronti” è la frase che questi ragazzi si ritrovano ad ascoltare a più riprese. Perché in Italia vieni immediatamente marchiato come inadatto solo in ragione della tenera età, o se vogliamo in ragione di un pregiudizio. E il caso Tonali è un esempio lampante di ciò.

Ma se questi ragazzi non giocano, come possono “essere pronti” ?! Se le squadre italiane non hanno pazienza di veder crescere i propri talenti come si può ringiovanire il calcio nello “stivale” senza perdere qualità? Perché bisogna essere chiari e onesti: questo è un processo inevitabile. I vari Immobile, Chiellini, Bonucci, Insigne non potranno giocare in eterno. Ma attenzione: non è un discorso legato solo ai calciatori italiani, bensì a tutti i ragazzi che appartengono ai settori giovanili delle squadre di Serie A. Ovviamente, poi, l’investimento su ragazzi italiani andrebbe a beneficio anche delle Nazionale Italiana. Ma la malattia oggetto di disamina non fa distinzioni di nazionalità e resta quindi un problema a 360 gradi. Per cui la criticità sta anche nel fatto che i club di Serie A difficilmente azzardano nell’acquisto di talenti esteri.

Ricordando ancora il caso di Eric Garcia, il difensore a soli 16 anni è passato dalla cantera del Barcellona all’academy del City. I blues hanno quindi investito, non hanno esitato a schierare il ragazzo in prima squadra ed ora l’albero sta dando i suoi frutti. Questo in Italia non accade. E guardando alla Nazionale si percepisce lo stallo dei settori giovani italiani. Attualmente, infatti, il divario tra la Nazionale Maggiore e l’Under21 è notevole, considerando che la maggior parte dei ragazzi che giocano nella selezione minore appartiene a club di Serie B oppure non trova minutaggio nei club di Serie A.

L’intervento della Federazione e il modello Germania

La FIGC, diversi anni fa, sul modello di Germania e Belgio, ha lanciato il progetto dei CFT: i Centri Federali Territoriali. L’obiettivo era far crescere e monitorare in queste strutture i giovani in tutte le regioni d’Italia. Un’idea encomiabile, ma a cui in realtà non si è dato il giusto peso o, se si vuole, il giusto supporto. Per questi centri, infatti, il budget messo a disposizione fu di 9 milioni di euro più 9 milioni all’anno dopo la partenza definitiva del progetto. Considerando le spese per sostenere le strutture già la cifra non convince e lascia presagire che i fondi realmente investiti nei giovani siano pochi. Ma si resta di sasso quando si guarda alla Germania, che invece ha investito 300 milioni di euro in 15 anni ed anche in modalità di allenamento innovative. La differenza principale, però, tra i due paesi è che mentre nei CFT italiani sono ospitati giovani già appartenenti a una società sportiva, in Germania si procede ad un’intensa attività di scouting in qualunque contesto del paese.

La soluzione qual è?

Difficile dire come curare un male così radicato. Però è necessario intervenire. Sicuramente bisognerebbe rivoluzionare totalmente la mentalità attuale, orientata alla vittoria e al raggiungimento del profitto in breve tempo. Bisognerebbe smettere di credere che sia meglio investire in giocatori pronti e capire che è il caso di prendere calciatori giovanissimi e renderli pronti da sè. Non si può certo negare che qualche spiraglio di luce si è visto in Italia, perché diversi giovani sono stati lanciati in prima squadra. Ma nulla di quantitativamente rilevante. Nulla che faccia pensare che il calcio italiano sia in ottimi e giovani “piedi”.