Knives Out: Rian Johnson e la “prova del nove” di Agatha Christie
Con Knives Out, Rian Johnson regala al pubblico un vero e proprio gioiellino anacronistico. Un giallo d’altri tempi che risulta il suo miglior film
Gli ultimi scampoli dell’anno regalano, molte volte, ottime sorprese. Naturalmente, avvicinandosi il periodo natalizio, è lecito pensare a regali anche in ambito cinematografico. Quest’anno, il buon Rian Johnson ha pensato di sostituirsi a Babbo Natale. Ha regalato agli spettatori un film memorabile, che si candida pienamente ad essere tra i migliori dell’anno. Il suo Knives Out, infatti, riesce a sorprendere incredibilmente il pubblico grazie a vari aspetti che non passeranno certo inosservati.
Si potrebbe facilmente pensare che il regista abbia voluto promuovere un film del genere solamente per mascherare i flop che la critica gli ha addebitato per il franchise di Star Wars. In realtà, con Knives Out, Johnson fa una mossa inaspettata. Il regista si riporta sulla linea che aveva tracciato prima di intraprendere le redini più commerciali della saga di fantascienza più famosa di sempre. Ci sono, infatti, moltissime somiglianze con il suo esordio Brick e con The Brothers Bloom, da cui riprende soprattutto i dialoghi surreali, taglienti e molto divertenti.
A contornare l’opera del regista del Maryland, ci pensa un cast davvero d’eccezione, composto da incredibili superstar. Da Daniel Craig a Jamie Lee Curtis, passando per Michael Shannon, Katherine Langford, Chris Evans, Ana De Armas, Don Johnson e il redivivo novantenne Christopher Plummer. Un’opera che sa molto di vintage, ma che risulta fresca e innova un genere come il “whodunit“, che ormai si credeva scomparso e definitivamente morto e sepolto.
Ma andiamo con ordine. Caliamoci tranquillamente in questa vicenda misteriosa e nelle vicissitudini della famiglia Thrombey.
Una famiglia alle prese con i propri demoni
La trama di Knives Out è davvero semplice, anche se si dipana poi in varie sottotrame molto più complesse. Siamo alle prese con una famiglia ricca, quella dei Thrombey, che si ritrova immischiata in un apparente suicidio, quello del suo “decano” Harlan (Christopher Plummer). Quest’ultimo viene ritrovato nel suo studio con la gola tagliata, e porta via con sé un patrimonio inestimabile, che risiede tutto nei romanzi di successo scritti e nella casa editoriale da lui fondata e ora gestita dal figlio Walter (Michael Shannon).
A lui fanno seguito la moglie Donna (Riki Lindhome) e il figlio filo-nazista Jacob (Jaeden Martell). La sorella maggiore di Walt, Linda (Jamie Lee Curtis), è invece lontana dagli interessi di famiglia, al comando di una catena di cosmetici di successo. Il marito Richard (Don Johnson) è una sorta di “mantenuto”, così come lo è la “pecora nera” della famiglia Ransom (Chris Evans), uomo viziato e arrogante. Fanno poi seguito Joni e Meg Thrombey (Toni Collette e Katherine Langford), rispettivamente moglie e figlia del defunto figlio di mezzo di Harlan, rimaste nelle grazie dell’uomo. Ad esse si aggiungono, infine, l’infermiera Marta Cabrera (Ana De Armas) e la cameriera Fran (Edi Patterson).
A far luce sulla vicenda, viene chiamato il detective Elliot (Lakeith Stanfeld), che verrà brillantemente “rimpiazzato” dall’acuto e fenomenale Benoit Blanc (Daniel Craig). Quest’ultimo è un detective privato famoso per la sua intelligenza. Grazie ai suoi interrogatori e alle sue deduzioni, la verità in Knives Out verrà a galla.
Agatha Christie
Sì, proprio lei sarà la prima figura che vi verrà in mente quando guarderete Knives Out. Il film, infatti, si rivela enormemente debitore nei confronti dell’autrice, da cui attinge la struttura classica del “whodunit” unendola ad elementi grotteschi e comici che rivoluzionano l’intero genere. La struttura si divide tra flashback e attualità, in modo intelligente e intrigante, restando facilmente interpretabile anche dagli spettatori più “pigri”.
La regia e la scrittura di Johnson in Knives Out sono compatte, di classe, stilose, a testimonianza del talento dello stesso, quando agisce nel proprio campo. La trama cattura lo spettatore, lo magnetizza e lo intriga fino alla fine grazie ai continui colpi di scena. I dialoghi sono appassionanti, sopra le righe (come del resto anche i personaggi) e divertono in maniera mai banale. Lo stesso Johnson si concede anche una dose di autoreferenza, con elementi comedy e inerenti anche alla droga che richiamano il suo esordio con Brick.
Lo stesso cast si sente sicuro nelle sue mani. In esso, svettano sicuramente un quantomai irriverente Daniel Craig, un Don Johnson sempre più a suo agio in ruoli “pungenti” e una Ana De Armas che regala la miglior performance della sua carriera (a base di vomito). Menzione a parte merita Chris Evans, vera “chicca” del film, che dimostra di essere poliedrico e perfetto anche nelle parti più disparate e ostiche.
L’attualità
Altro pregio di Knives Out è sicuramente la contestualizzazione della sua narrazione. Johnson prende un genere anacronistico, ne fa uno svecchiamento e lo ribalta regalandogli anche una dimensione satirica. Il film diventa anche un momento di riflessione socio-politica attualissimo (lo si nota nel comportamento inconsueto di Jacob, ripreso solo in parte dal padre Walter), che evidenzia lo stretto rapporto tra potere (in questo caso, prestigio) ed estremismo.
Knives Out risulta, dunque, un veicolo di satira classista molto feroce (in questo ricorda il capolavoro Parenti Serpenti del maestro Monicelli), che ricalca anche per la sua scenografia incredibilmente retrò (ma non per questo fuori luogo, anzi). Le ambientazioni sono di gran classe, così come lo sono anche i costumi e gli interni, straordinariamente fastosi e curati.
Si nota come Johnson abbia tratto il meglio anche dai racconti investigativi del primo Novecento, oltre che da un tipo di cinema colto che trova i suoi interpreti principali in Billy Wilder, Sidney Lumet e George Pollock e grandi classici come Clue. Ne ricalca tutti gli stilemi, compreso il colpo di scena finale che porta lo spettatore a ritrattare tutte le sue ipotesi.
Il film non è però esente da difetti. Gli spettatori, infatti, potrebbero trovare un po’ difficile da seguire le sottotrame legate ai vari personaggi, in quanto i tempi risultano alquanto frenetici. Ma è davvero ben poca roba, rispetto a quanto creato da Rian Johnson, che qui regala uno dei migliori film dell’anno e la miglior prova della sua carriera registica.
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