La donna che visse due volte: la persistenza di un’ossessione
La donna che visse due volte mette in scena l’ossessione fisica e mentale di cui il protagonista è preda, sospeso tra realtà e finzione
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La donna che visse due volte è un film del 1958 diretto da Alfred Hitchcock ed è comunemente considerato uno dei suoi capolavori; la pellicola rientra senza fatica tra i cento migliori film di sempre. Il film è liberamente tratto dal romanzo “D’entre les morts” (1954) degli scrittori francesi P.L. Boileau e T. Narcejac, i quali avevano suscitato l’interesse del regista grazie alla loro precedente opera: “I diabolici”.
Il titolo del film nella versione americana, Vertigo, non è casuale e fa esplicito riferimento all’immagine della vertigine nella spirale, che come vedremo, è alla base dell’intero intreccio narrativo. Già a partire dai titoli di testa, ideati da Saul Bass, il motivo della spirale, che si materializza all’interno di un occhio femminile inquadrato nel dettaglio, colpisce lo spettatore; la sequenza d’apertura, inoltre, evidenzia i colori dominanti all’interno del girato (il rosso e il verde) scelti per caratterizzare le scene e i vestiti dei protagonisti. La spirale ritorna costantemente in tutta la pellicola persino nei complementi di arredo e nei particolari (Carlotta e Madeleine hanno i capelli raccolti a chignon). La tecnica utilizzata da Hitchcock per creare l’idea della vertigine consiste nella contrapposizione del movimento del carrello della macchina da presa a quello dello zoom. Incredibile è l’ostensione della realtà per immagini con inserti di flash-back nei momenti cardine della vicenda.
La pellicola si apre nel bel mezzo di un inseguimento sui tetti di San. Francisco da parte del detective John Ferguson (James Stewart), Scottie per i conoscenti, finito male per la morte di un collega che aveva cercato di salvarlo da una caduta nel vuoto. La scoperta della paura del vuoto (acrofobia), malattia invalidante che renderà John strumento inconsapevole di un disegno criminale, lo aveva portato alla richiesta di pensionamento. Poco dopo viene contattato da Gavin Elster (Tom Helmore) un suo vecchio compagno d’università, che grazie al matrimonio è divenuto un ricco costruttore navale. Questi chiede a Ferguson di pedinare sua moglie Madeleine (Kim Novak), perché è convinto che lei sia vittima della possessione spiritica da parte di una sua antenata di nome Carlotta Valdès, morta suicida all’età di ventisei anni. Il marito crede che anche la moglie possa commettere un suicidio. Inizia a prendere forma il tema del doppio ovvero del ripetersi di eventi simili a distanza di tempo, ma la vicenda è molto più intricata di quanto non appaia nella prima parte del film. Ferguson, in un primo momento riluttante, accetta l’incarico e inizia il pedinamento.
In La donna che visse due volte, Madeleine si sposta continuamente nei luoghi in cui aveva vissuto Carlotta, ma non sembra cosciente delle proprie azioni. Pian piano il pedinamento inizia a diventare una morbosa ossessione per l’ex agente che dopo aver salvato la donna dalle acque della Baia del Golden Gate, si rende conto di esserne profondamente innamorato e la convince ad accettare il suo aiuto per guarire. Sperando di fugare i fantasmi che la tormentano Scottie vuole accompagnarla nei luoghi da lei nominati, per dimostrarle che sono reali e non possono fare paura. Il paesaggio descritto in un suo sogno corrisponde alla ex missione spagnola San Juan Batista. Giunti sul luogo, Madeleine si allontana da lui e sale le scale del campanile. Scottie non riesce a seguirla a causa della sua fobia per l’altezza. In preda ad un attacco di vertigini assiste impotente al precipitare del corpo dell’amata sul tetto sottostante.
Dopo aver testimoniato dinnanzi ad un magistrato, accertando che si fosse trattato di suicidio, Scottie, caricato dalla frustrazione e dal senso di colpa, precipita in una spirale da incubo che lo condurrà dall’insonnia alla perdita di contatto con la realtà. Durante il ritorno del protagonista nei luoghi delle sue ossessioni, non essendosi rassegnato alla perdita dell’amata, si imbatte in Judy Barton, (che è esattamente la donna di cui Scottie si era innamorato) una donna che somiglia in maniera sbalorditiva a Madeleine. A questo punto Hitchcock con un flashback rivela ciò che avvenne davvero in cima al campanile dell’ex missione spagnola riportando alla luce l’inganno: Scottie è stato scelto in quanto testimone perfetto (la sua acrofobia lo aveva reso impotente) del delitto ideato da Gavin per uccidere la vera moglie. Judy era la donna ingaggiata per recitare la parte della moglie e portare a termine un piano perfetto facendo credere a tutti che si fosse trattato di suicidio. Non trovando il coraggio di raccontare la verità, Judy si lascia volontariamente trasformare nella spettrale immagine di Madeleine subendo, come Midge, (l’amica di John segretamente innamorata di lui) la frustrazione dell’amore non corrisposto. In realtà il protagonista ama un fantasma che non esiste, è vittima di un’ amore che non esiste.
Un piccolo particolare (una collana appartenuta a Madeleine che a sua volta l’aveva ereditata dall’antenata Carlotta) permette all’ex agente di polizia di ricomporre i tasselli della vicenda, capirà che Judy e Madeleine sono la stessa persona. “Non si tengono mai i ricordi di un delitto.. non avresti dovuto essere così romantica”. Il passato è in agguato in un ciondolo che porta alla luce l’intrigo diabolico che precipiterà gli eventi fino al drammatico finale. Scottie costringe Judy a tornare sul luogo del delitto e a rivivere la scena; sulla cima del campanile il dramma sembra concludersi con un bacio appassionato, ma all’improvviso un’ombra misteriosa spaventa Judy che si precipita nel vuoto come la vera Madeleine.
È l’epilogo tragico de film che, più che una semplice storia d’amore, racconta la storia di un’ossessione pervasa dal senso d’inadeguatezza e dal complesso di colpa sotto l’ombra costante della morte.
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