14 Febbraio 2019 - 17:46

La Paranza dei Bambini: l’ibrido cinematografico di Giovannesi

La paranza dei bambini: recensione del nuovo film di Claudio Giovannesi tratto dall’omonimo racconto di finzione di Roberto Saviano

La Paranza dei bambini, il film di Claudio Giovannesi, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, racconta di sei ragazzi quindicenni nella Napoli di oggi. Nicola, Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ e Briato vogliono fare soldi, comprare vestiti firmati e motorini nuovi.
Giocano con le armi e corrono in scooter alla conquista del potere nel Rione Sanità.
Con l’illusione di portare giustizia nel quartiere inseguono il bene attraverso il male.
Sono come fratelli, non temono il carcere né la morte, e sanno che l’unica possibilità è giocarsi tutto, subito. Nell’incoscienza della loro età vivono in guerra e la vita criminale li porterà ad una scelta irreversibile: il sacrificio dell’amore e dell’amicizia.

Un ibrido tra racconto di finzione e visione “cronachistica”

Quello che fin da subito fa Claudio Giovannesi con La Paranza dei bambini, opera immediatamente successiva al suo “Fiore”, è piuttosto lontano e diverso da quello che fece Matteo Garrone con “Gomorra”. Seppur forse, la sua voglia di creare intorno a fatti di cronaca un “cinema di genere” sia molto più vicina al Sollima pulp e artificioso di “Suburra”, qui sembra che Giovannesi riesca ad equilibrarsi su quella corda sensibilissima, tra realismo forte e compiuto e racconto gangsteriano che vede più al cinema americano che a quello italiano pur mantenendo le sue citazioni di sorveglianza ad alcuni suoi affetti partenopei, come al cinema di Sergio Leone, Rosi e Rossellini. Proprio perché il suo racconto, nasce da un gruppo di ragazzini sedicenni e dal suo protagonista, “i bambini” del titolo, che vogliono combattere un “sistema” cancerogeno con la stessa arma del sistema che vogliono sradicare, utilizzare il male per fare del bene. In un momento poi, di log out generale nella Napoli cittadina, (permettetemi questo termine piuttosto aspecifico) quando i quartieri saranno in balia dell’assenza di boss “affermati” e potenti, il loro piano è quello di governare un micro mondo, quello stretto tra i vicoli e le scorciatoie di una città quasi senza identità, universale come universale è la storia di questo gruppo che inizia con lo spaccio per poi cavalcare l’onda del comando.

Campo lungo e primi piani: tra finzione e realismo

Giovannesi inizia il suo film, tratto dal primo romanzo di finzione di Saviano, (e badate che questo è importantissimo più si andrà avanti con l’articolo) con un campo lungo nella galleria napoletana dove il gruppo sopracitato, come un formicaio, riuscirà a sradicare un albero di natale. Nella scena successiva la regia si sposta su piani diversi, quasi da telecamera di sorveglianza, su focus frettolosi e itinerari del giovane protagonista che di spalle entra nella lavanderia della madre. Qui verremo a contatto con uomini che chiedono il pizzo a sua madre nella lavanderia e la regia si fa sempre più “cronachistica”, sempre più particolareggiata, sempre più claustrofobica seppur sostanzialmente libera e vibrante. Questi due momenti, uno successivo all’altro, intendono confermare ciò che Claudio Giovannesi ha cercato di fondere in un solo film.

(Ri)Scrivere La Paranza dei bambini

L’esperienza è sentitamente diversa e duplice, quella de “La paranza dei bambini” è una favola nera di (de)formazione, dove la regia cerca di fare  i conti con mani e scrittura che dialogano in maniera doppia, ricche entrambe, di un’esperienza del mondo di cui parlano. Così per tutta l’opera, che è un ibrido tra la scrittura di Saviano, le regie precedenti di Giovannesi di film come “Alì ha gli occhi azzurri”, e la narrativa di Maurizio Braucci, autore emergente nel 1999 con “Il mare guasto”, sorta di racconto anch’esso sulla camorra, vi è un scambio continuo di dialettica cinematografica, si passa da campi lunghi a primi piani forti, a suggestioni, vie di fuga strette e fuochi d’artificio ariosi durante l’esplosione di mitragliatrici. Cinema focalizzato e cinema aperto, tra l’immagine “colosso” di grandi ambienti alla “Gomorra” e  inseguimenti di silhouette più vicine ad un cinema intimistico. E “La paranza dei bambini” incede durante il suo percorso con l’armonia tra questi due mondi, tra queste due immagini con una combinazione precisa, quella della “finzione”.

Il racconto di finzione di Saviano e Giovannesi

Perché il film di Giovannesi, come già detto all’inizio, è tratto dal primo libro di finzione di Saviano, che non è la cronaca romanzata come crederebbero i sostenitori di Gomorra e come è anche Suburra. Qui si parte da certi spunti di cronaca, ma con una storia totalmente inventata, totalmente libera dal commentario della realtà. Ed ecco allora la grandezza di un’opera come “La paranza dei bambini”. Un’opera che vorrebbe fuggire da qualsiasi polemica, un’opera prima di tutto di intrattenimento riflessivo e non di denuncia. Lo dimostrano una certa drammatizzazione nel finale clandestino che strizza l’occhio al miglior Western, la scelta di non filmare il destino che li attende spezzando il finale per dare le vite dei protagonisti al buio della sala in pasto alla realtà, alcune scelte narrative semplicistiche e non per questo non giustificabili. Lo dimostra la stessa finzione e le immagini di festini, discoteche molto vicine allo spirito di Carlito’s Way con Al Pacino, i luoghi comuni che si intersecano e creano perfettamente una storia che certamente non rimane superficiale sul piano dello spettacolo. Lo dimostra infine la storia d’amore, i palloncini al vento che regalano quello spirito infantile, sentimentale e insieme poetico al film che hanno sempre tratteggiato il cinema di Giovannesi nel modo di raccontare la povertà dei borghi o della Napoli centrale. Ed ecco che quella diatriba tra campi lunghi e primi piani, la fotografia di Daniele Ciprì, i suoi colori caldi e freddi, è l’ossimoro di una scrittura difficile da equilibrare eppure equilibrata raccontata per immagini grazie ad una regia in trasformazione, consistenza di un film che gioca con il cinema e la sua strategia di narrare una realtà con l’artificio del racconto ricreativo e inventato.