Il lavoro secondo l’INPS
L’INPS, in base a proprie rilevazioni, pubblicizza l’aumento delle stabilizzazioni sul lavoro del 36%, ma il nuovo Jobs Act continua a mietere vittime fra la popolazione
[ads1]
Nel periodo in cui la disoccupazione giovanile sfiora il 45% (il 13% per quella generale) e il paese viene letteralmente distrutto dalla “presa visione” dello SVIMEZ e del FMI, l’INPS, istituto guidato da Tito Boeri, segnala un dato a dir poco eccezionale.
Secondo l’istituto di previdenza, infatti, le assunzioni stabili nel primo semestre del 2015 sono aumentate del 36%.
Data la grande notizia (che in pochi si aspettavano a dir la verità) sono arrivate puntuali le esternazioni del Segretario/Premier Renzi sulla bontà e sull’efficienza del celebre Jobs Act (“INPS Crescono i lavori stabili, più 36%. Come era quella del Jobs Act che aumenta il precari? tutto il resto è noia…”).
Ma non è tutto oro quel che luccica: uno dei punti principali del Jobs Act, la nuova riforma del lavoro che ha “legalizzato” la precarietà di Stato, è quello che prevede sgravi contributivi triennali per le aziende che assumono a tempo indeterminato.
Letta esclusivamente in questi termini, il provvedimento sembra apportare solo delle migliorie nel caotico mercato del lavoro ma, come è solito dire in questi casi, “fatta la legge, trovato l’inganno”.
La riforma di “polettiana memoria” prevede che i datori di lavoro che assumono con contratti a tempo indeterminato nel 2015 avranno un esonero, pari all’ammontare dei contributi previdenziali a carico dello stesso datore, per un massimo di 8.000 euro annui per tre anni.
In pratica se si viene assunti con contratto a tempo indeterminato, il datore di lavoro riceverà maggiori vantaggi, per tre anni consecutivi, in ambito di contributi.
Grazie a questo prezioso vantaggio e grazie all’abolizione dell’articolo 18 si sono parecchio diffusi i, così rinominati, “furbetti del Jobs Act”.
In pratica i vantaggi contributivi sono presenti ogniqualvolta viene stipulato un contratto di lavoro a tempo indeterminato; facendo leva sulla facilità di licenziamento, data la presenza delle tutele crescenti nei contratti (in pratica la possibilità di essere facilmente licenziati con l’abrogazione dell’articolo 18), molti “datori furbetti” licenziano per poi riassumere (ed avere gli sgravi) o licenziano per riassumere in altra ditta con altro nome.
In pratica un giochino facile facile: l’impresa propone ai dipendenti, stabilmente occupati anche a tempo indeterminato, di licenziarsi, magari offrendo loro un piccolo incentivo economico, per poi essere riassunti il giorno successivo da una nuova azienda che lavora nello stesso posto e svolge le stesse attività.
Il nuovo contratto, con validità di sei mesi e con la promessa che i dipendenti torneranno a lavorare a tempo indeterminato, porta le aziende a chiedere di accedere agli sgravi fiscali, raggirando di fatto la legge, accrescendo le stime sul “tempo determinato”.
I dati sul mercato del lavoro hanno creato anche un’ulteriore polemica fra INPS ed ISTAT sugli effettivi numeri in questione.
In primo luogo non si comprende se i contratti considerati rappresentino una conversione dei vecchi a tempo determinato (co.co.co e co.co.pro) o sono stati stipulati ex novo.
Se si considera la prima situazione è evidente che non è stato creato nessun altro posto di lavoro mentre nel secondo caso è necessario considerare se è stato messo in atto il suddetto “giochetto”.
Inoltre, l’istituto statistico, che considera le rilevazioni in base ad un campione, rileva dei numeri tutt’altro che positivi mentre l’INPS, che considera le comunicazioni obbligatorie dei nuovi contratti, evidenzia evidenti migliorie dovute soprattutto agli sgravi contributivi.
Il lavoro continua ad essere, purtroppo, ancora un’utopia per i più e nonostante si cerchi di descrivere una realtà che non esiste, la quotidianità racconta un’altra storia.
Per i prossimi venti anni.
[ads2]
ARTICOLO PRECEDENTE
AstroZon, Giove nel segno della Vergine aprirà una nuova fase
ARTICOLO SUCCESSIVO