L’estate del 2012 e il peccato originale del Milan
Sette anni e mezzo fa il Milan cedeva Ibrahimovic e Thiago Silva al PSG. Da quella maledetta estate, una caduta libera fino alla crisi di oggi
Maledetta estate 2012. Sette anni e mezzo fa, mentre molti rossoneri si trovavano in spiaggia per le loro vacanze, il Milan portava a termine una delle peggiori operazioni di mercato degli ultimi decenni. Appena un mese e mezzo dopo l’addio di San Siro a leggende del “Diavolo” come Nesta, Gattuso, Seedorf e Inzaghi, la coppia Galliani-Berlusconi cedeva Ibrahimovic e Thiago Silva al PSG.
Sia chiaro, nel calcio nessuno è insostituibile. Lo stesso Milan ha vinto una Champions League dopo l’addio di Shevchenko ed è storia come la Juventus abbia creato un decennio di vittorie dopo la cessione di Zinedine Zidane. Nel caso del Milan dell’estate 2012, il problema è la tempistica e il tipo di messaggio dato a tifosi e avversari: cediamo i nostri migliori giocatori per ragioni di bilancio e, senza sostituirli, usciamo dalla lotta per lo Scudetto. A fare rumore, a oltre 7 anni di distanza e con un possibile ritorno di Ibra a Milanello, è soprattutto l’addio del difensore brasiliano.
Leader carismatico e tecnico, giovane e già tra i migliori al mondo nel ruolo, il Thiago Silva del 2012 ha il tipico profilo di quello che gli americani chiamano “giocatore franchigia“. Un giocatore che non è sul mercato e attorno al quale costruisci la squadra per essere competitivo ai massimi livelli, anno dopo anno. Vendere il 33 è stato il peccato originario, il pomo della discordia che ha condannato quella che era la società più gloriosa e vincente al mondo (prima del filotto Real Madrid tra il 2014 e il 2018) ad anni di delusioni e amarezze.
Con i rumors sempre più insistenti di questi ultimi giorni su un possibile ritorno di Ibrahimovic in rossonero, l’eco di quella maledetta estate diventa ancora più assordante. Sacrificare i tuoi pilastri all’altare del bilancio ha portato danni quasi irreversibili al bilancio stesso, in costante perdita anno dopo anno perché la qualità della rosa è calata e non ha portato qualificazioni alle coppe europee e contratti di sponsorizzazione importanti. La domanda ora è: Ibra serve davvero?
La risposta è difficile. Sicuramente lo svedese potrebbe dare un grande contributo in termini tecnici ma soprattutto di leadership. Un solo giocatore difficilmente però cambia la squadra e le prospettive di classifica, soprattutto se il giocatore in questione ha 38 anni e viene da due stagioni in MLS, campionato che non è certo famoso per la sua competitività. Ecco allora che a molti tifosi rossoneri sorge un tremendo dubbio: invece di rincorrere cavalli di ritorno con il rischio di presentare in campo la solita minestra riscaldata, non sarebbe ora di fare una seria programmazione e di dare continuità e certezze ai pochi punti saldi della rosa?
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