16 Maggio 2018 - 16:16

L’Isola dei Cani: la recensione del nuovo film d’animazione di Wes Anderson

L'isola Dei Cani

L’Isola Dei Cani è il nuovo film d’animazione di Wes Anderson. Amicizia, lealtà e storia sono i pilastri portanti di un’opera adatta a tutte le età

Sembrerà forse banale da dire, ma L’Isola dei Cani, il nuovo film d’animazione del giovane regista statunitense Wes Anderson è davvero adatto a tutti. Il film, uscito nelle sale italiane il 1 maggio 2018, può essere considerato un nuovo pilastro del cinema d’animazione. Questo non solo per la perfezione della stop motion realizzata, ma anche per i valori contenuti: dalla lealtà all’amicizia, dalla storia alla lotta per i propri diritti, fino all’amore per gli animali. Protagonisti indiscussi del film sono infatti i cani.

Trama

Giappone 2037, città di Megasaki: a causa di un decreto legge emanato dal governatore Kobayashi, tutti i cani, affetti da una malattia nota come “influenza canina” (malattia diffusa dal governo stesso, per ripristinare il ruolo dei gatti come migliori amici dell’uomo), vengono spediti sull’isola della spazzatura. L’isola che si trova dall’altro lato del fiume, nel giro di poche settimane è sempre più popolata da cani, che vivono di avanzi e lottano tra loro per quel poco che riescono a trovare.

Il primo cane mandato sull’Isola è il cane da guardia del nipote del governatore, Spots e il film è teso proprio alla ricerca di quest’ultimo. Il suo padroncino, Atari Kobayashi decide di attraversare il fiume a bordo del suo Junor-Turbo-Prop, una sorta di piccolo aereo, e arrivare sulla Trash Island. Qui incontrerà un gruppo di 5 malandati cani e grazie al loro aiuto si metterà sulle tracce di Spots, tentando si liberare tutti gli animali.

Atari non è l’unico che lotta per la liberazione dei cani. In città un noto scienziato con la sua equipe ha trovato una cura contro la malattia, ma Kobayashi è contrario al suo utilizzo. Numerose sono anche le proteste della popolazione Pro-Dog, capeggiate da una studentessa americana, Tracy Walker.

La società dispotica

Il film è ambientato in un futuro paradossale, che in realtà vuole denunciare qualcosa a noi tristemente noto. Ce lo ha mostrato e insegnato la storia ed è una situazione a noi molto vicina oggi. Tutto ruota intorno alle masse e al controllo che la società ha su di essa. Un controllo che può rimandare a Hitler e al nazismo che attraverso l’uso della stampa e della radio è riuscito ad emarginare e poi eliminare un’intera comunità, quella ebraica, convincendo le masse che gli ebrei erano l’origine di ogni male.

Oggi invece è un controllo che può essere legato anche al quotidiano, dai semplici talent/reality,  che ci spingono a idolatrare alcuni concorrenti/personaggi rispetto ad altri, fino ad arrivare alla questione immigrati, considerati l’origine di molte problematiche odierne. Il lungometraggio quindi fa rifermento a tutte quelle politiche, che millantano di aiutare gli stranieri ma a casa loro, creando così muri idelogici e talvolta fisici.

Così come gli ebrei ieri e gli immigrati oggi, i protagonisti di Anderson vivono una condizione di isolamento e discriminazione. Il governo infatti è riuscito a manipolare la maggior parte delle persone, che pur affezionate ai propri cani ha dovuto liberarsene convinta che la loro malattia fosse l’origine di un male per tutta l’umanità. I cani diventano così il capro espiatorio del governatore, funzionale al controllo. L’opinione pubblica è facilmente manipolabile, di fronte alla costruzione di un nemico comune.

I ruoli invertiti

Anderson decide di enfatizzare questo aspetto del controllo anche attraverso il linguaggio. Da un lato abbiamo i cani che si esprimono in un perfetto inglese e con una certa compostezza ed educazione; dall’altro gli uomini che parlano in giapponese e senza sottotitoli ad eccezione della giovane studentessa. Se da un lato perciò abbiamo comprensione e personalità diverse, dall’altro abbiamo un linguaggio incomprensibile legato a personalità piatte e uguali tra loro.

C’è perciò la volontà di mostrare i cani come uomini e gli uomini come animali; questo riferimento è molto chiaro in una scena, dove per recuperare il piccolo Atari dal’isola dei cani, i soldati di Megasaki utilizzano modi e gestualità tipiche di chi sta recuperando un animale randagio.

Altra inversione di ruoli c’è anche nel rapporto tra Atari e Chief, il Capo del branco di cani che lo aiuta. Atari sembra essere l’adulto che cerca di avvicinare il “figlio” (Chief) che va contro corrente e si oppone ad ogni scelta degli altri, ma in realtà è il più bisognoso di affetto.

Gli altri cani del branco invece incarnano i vecchietti del paese dediti ai pettegolezzi, ma che ci parlano di umanità e lo fanno con una certa eleganza.

La forma si fa contenuto

Nel suo cinema Anderson lascia sempre una firma ben tangibile: inquadrature perfette e simmetriche, panoramica a schiaffo, rallenty e una precisa geometria. Mescolando questi elementi, il noto regista cerca sempre di dare più valore all’aspetto estetico dei suoi film che al contenuto; così a trame apparentemente semplici affianca un lavoro di camera che le completa, racchiudendo un senso profondo di emotività. In questo film in particolare, realizzato in stop motion, la tecnica è tangibile all’occhio dello spettatore a partire dai personaggi fatti di resina e silicone, fino ad arrivare ai piccoli 17 set realizzati appositamente e arricchiti da numerosi dettagli. Tra questi le nuvole fatte di cotone, il mare di carta stagnola e gli inserti disegnati a mano in 2D.

L’amore per il Giappone

L’Isola dei Cani, che a marzo 2018 ha aperto il Festival del Cinema di Berlino, è arricchito e impreziosito dai tanti riferimenti al Giappone e alle sue antiche tradizioni. Anderson in riferimento a ciò ha affermato: “Il setting viene per intero dal cinema giapponese. Amiamo il Giappone e volevamo fare qualcosa che fosse davvero ispirato ai film nipponici, quindi abbiamo finito per mescolare insieme il “dog movie” e il film giapponese”.

Qualche curiosità

Chief, capo branco e protagonista del film L’isola dei Cani, in inglese è stato doppiato dal noto attore Bryan Cranston. Tra gli altri doppiatori: Edward Norton, Yoko Ono, Scarlett Johansson, Frances McDormand, Greta Gerwing e Bill Murray.

Negli Stati Uniti è stato vietato ai minori di 13 anni perché ritenuto, in alcune scene, troppo violento.

Trailer L’isola dei Cani

 

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