Lost In Space 2: la fantascienza e il senso della scoperta
Lost In Space 2, seconda stagione della serie Netflix, regala un passo in avanti rispetto all’esordio. Sebbene rimanga ancora del potenziale inespresso
Era passata in sordina. Effettivamente la prima stagione di Lost In Space non aveva regalato tantissime soddisfazioni. Certo, stiamo parlando comunque di un ottimo prodotto originale Netflix, ma non tale da generare entusiasmi clamorosi come alcuni suoi “dirimpettai” (come The Expanse, giusto per citarne uno). Eppure, la streaming house più potente al mondo ha deciso di tentare una nuova avventura, di portare avanti la baracca nonostante tutto. Del resto, puntare su prodotti di qualità resta il diktat principale della rivale di Prime Video.
In tanti erano rimasti più che altro inebetiti da questa serie, remake dell’omonima serie televisiva realizzata nel 1965. Ancora una volta, invece, la casa di produzione ha dimostrato che solamente perseverando si ottengono risultati. In attesa di aprire il nuovo anno con serie molto più controverse (una fra tutti, quasi sicuramente, sarà Messiah), Netflix tenta di chiuderlo con una sorta di “sicurezza“, rilanciando uno show che sembra messo lì solo per “far numero“. Sì, perché proprio di rilancio si può parlare, inneggiando alla seconda stagione di Lost In Space. Tramite vari cambi d’assetto, infatti, lo show ha riacquistato linfa.
Da una parte vi sono vari accorgimenti che convincono e avvincono gli spettatori. Dall’altra, in vista di una terza stagione, ci sono sicuramente ancora molti aspetti su cui lavorare. Certo, uscire con una serie durante la vigilia di Natale rappresenta ovviamente un azzardo davvero palese da parte dei produttori. Ma questo rischio è stato calcolato, oppure si tratta dell’ennesimo fallimento dei prodotti originali Netflix? Scopriamolo insieme, indagando più a fondo nella seconda stagione dello show.
Sette mesi dopo
La narrazione intraprende una brusca accelerata fin da subito. Dopo gli eventi della prima stagione di Lost In Space, infatti, abbiamo rimasto la famiglia Robinson, composta da John (Toby Stephens), Maureen (Molly Parker), Judy (Taylor Russell), Penny (Mina Sundwall) e il piccolo Will (Maxwell Jenkins) in balia di un misterioso motore alieno. Quest’ultimo ha trasportato la loro nave in un sistema stellare sconosciuto.
Tra lo sbigottimento generale, solo Will riesce a riconoscere il luogo, grazie ai dettami del suo amico Robot (la cui voce appartiene a Brian Steele). Quest’ultimo lo aveva avvertito di un “pericolo” proprio su quel pianeta. Atterrati su di esso, nello specifico su una spiaggia isolata, la famiglia si è adoperata al massimo delle proprie limitate possibilità per sopravvivere in un ambiente fortemente ostile, in primis dovuto ad un’atmosfera non respirabile per l’altissima concentrazione di metano.
Le cose sembrano addirittura aver preso una certa stabilità con parvenze di routine. Maureen (Molly Parker), vogliosa di tornare a casa, elabora un piano estremamente rischioso e folle che però potrebbe far decollare ancora una volta la loro astronave. Nel frattempo, nell’ombra, la dr.ssa Smith (Parker Posey) tesse la tela di un piano per ingannare nuovamente l’equipaggio.
La crescita di tutti
Partiamo subito col dire che Lost In Space 2 si caratterizza per regalarci una serie in netta crescita. La serie sembra incredibilmente rinata con la sua seconda stagione. L’incipit è a dir poco travolgente. La sensazione è che, dopo essersi presi la prima stagione per raccontare per bene la psicologia dei Robinson, gli autori abbiano deciso di spingere l’acceleratore sul racconto. Il risultato è sicuramente piacevole.
Oltre a continuare a stupire con i suoi notevoli effetti speciali e con le sue ambientazioni mozzafiato, l’estetica di Lost In Space 2 compie un deciso balzo in avanti. Già durante la prima stagione panorami variegati e e continuamente sorprendenti, per eclettismo e cromatismi, l’avevano fatta da padroni. A questi poi si aggiungono una fotografia davvero molto intensa (all’altezza delle produzioni sci-fi) e un comparto di regia che, finalmente, per la prima volta, convince.
C’è anche spazio per la notevole crescita dei personaggi. Se Toby Stephens e Molly Parker si confermano dei punti saldi, le vere sorprese sono i “piccoli” Robinson. Maxwell Jenkins (Will) compie una crescita decisa in termini di sicurezza recitativa. A lui si accoda Mina Sundwall, perfetta interprete di un’adolescente irriverente e sfacciata, ma ancora ingenua. Taylor Russell, poi, conferma di essere una piccola stella in ascesa (Waves ne è il testimone perfetto).
Le forzature
Non tutto è oro ciò che luccica, però. Sebbene ci sia una decisa crescita, Lost In Space 2 resta prigioniero dei suoi demoni. Restano, infatti, ancora alcune ingenuità che dovrebbero essere colmate, in vista di una terza stagione che si preannuncia esplosiva. Due sono i punti focali che permettono alla serie di non brillare del tutto: lo sviluppo della trama e il profilo dell’antagonismo.
Ciò che si evince da Lost In Space 2 è che gli autori non abbiano ancora capito per bene come colmare alcune forzature dal punto di vista narrativo. Un valido esempio si ritrova durante la premiére, dove si scatenano 3-4 coincidenze in rapida sequenza pur di mandare avanti la trama. Sembra quasi impossibile che autori capaci di mettere in piedi una storia simile non abbiano poi la scaltrezza di farla sviluppare in maniera adeguata. Ma tant’è.
Sul secondo aspetto, invece, c’è più da riflettere. Se la prestazione di Parker Posey nel ruolo di Smith era risultata quantomeno interessante nella prima stagione, qui non riesce minimamente a invertire la rotta. Troppo fiacca e prevedibile la sua evoluzione, quasi come se si volesse giustificare per forza la presenza di un “villain” a tutti i costi all’interno della serie. Poco utile ai fini del rinnovamento della serie. Ma Lost In Space 2 è anche questo.
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