Magic In The Moonlight
Magic In The Moonlight, niente è quello che sembra
[ads2] Dopo Blue Jasmine, Woody Allen ritorna indietro nel tempo, precisamente negli anni Venti, come già aveva fatto di recente con Midnight in Paris. È il 1928 e si tratta di Magic In The Moonlight.
Questa volta la coppia di Allen è composta da Colin Firth e Emma Stone nei panni rispettivamente di un mago di fama mondale che si traveste da cinese e si fa chiamare Wei Ling Soo, e una medium, che quest’ultimo viene chiamato, da un suo collega, a smascherare.
Si procede a suon di musica d’epoca con inserti di Beethoven e Stravinskij in un mondo patinato e ancora lontano dai tumulti della Seconda Guerra Mondiale, nei coloratissimi e pacifici paesaggi della Francia del sud, mentre il nostro protagonista, un uomo razionale, ateo e disilluso, tenta in tutti i modi di smascherare la ciarlatana che nel frattempo resta affascinata dal suo charme. Per il prestigiatore, il cui vero nome è Stanley Crawford, il soprannaturale non esiste e “Tutto quello che vediamo è quello che c’è”.
Mentre cerca di scoprire i trucchi della dolce Sophie Baker, Stanley ne rimane totalmente incantato e a poco a poco il suo cinismo e il suo ego vengono ridimensionati. È dunque l’amore quel soprannaturale di cui si parla per tutto il film? Forse si, ma sappiamo che Allen è un cinico e un ateo e dunque sappiamo che un film come questo non è mai fine a sé stesso, non si ferma al superficiale. Magic In The Moonlight non è la semplice commedia romantica; nessuna commedia di Allen è semplicemente questo.
Con questo film vediamo tornare nuovamente la magia in una storia del regista di Io e Annie, come pure la divinazione. Il conflitto è sempre fra due tipologie di personaggi diversi, il cinico e razionale contro il sognatore e romantico, colui per il quale non esiste niente oltre l’orizzonte e l’altro per il quale quell’oltre è ragione di vita e sopravvivenza.
Ma chi dei due alla fine la spunta? In realtà nessuno dei personaggi di Allen, in questo film come in altri, è un vincente. Ognuno opera una scelta e noi con loro. Possiamo decidere di credere nel soprannaturale, oppure nell’amore. Ma una cosa è certa, ciò che resta da un film come questo è un senso generale di amarezza. Forse è il periodo storico in cui è ambientato; non si può fare a meno di pensare che siamo alla fine degli anni Venti, a un passo dalla crisi del ’29 e dal Nazismo con tutto quello che ne conseguì.
Il mondo credeva ancora in molte cose, ma il mondo da cartolina estiva che vediamo in questo film, presto non sarebbe più stato lo stesso e molti avrebbero smesso di credere in tante cose.
Woody Allen ci vuole dire che non esiste una risposta giusta ai quesiti che si pone, così come nel mondo la verità assoluta non sta né dalla parte dei cinici, che figurano come freddi e privi di immaginazione, né dei romantici e credenti che spesso passano per sciocchi e poco lucidi.
Pertanto in questa storia noi abbiamo due opzioni e in qualunque cosa scegliamo di credere per il regista non ha molta importanza. Allen ha raccontato una storia e come tutte le sue storie c’è sempre il trucco, una riflessione sull’uomo e i rapporti che va molto in profondità e toglie il drappo che nascondeva l’elefante nella stanza.
ARTICOLO PRECEDENTE
ARTICOLO SUCCESSIVO