5 Settembre 2019 - 15:05

Marina Berlusconi, lettera al Corriere dopo morte di Imane Fadil

marina berlusconi

Marina Berlusconi, figlia di Silvio, ha scritto una lettera aperta al Corriere circa la morte della modella marocchina Imane Fadil, coinvolta nel caso Ruby

Marina Berlusconi manda una lettera aperta a Lucio Fontana, direttore del Corriere della Sera, per parlare della morte della modella marocchina Imane Fadil, coinvolta con suo padre nello scandalo Ruby.

La giovane modella è morta a 34 anni, si pensava inizialmente per un avvelenamento doloso ma, dall’esame autoptico, risulta che la causa sia un’aplasia midollare.

Scondo lei quelle su suo padre sono soltanto delle calunnie:“La cultura dell’allusione ci avvelena”… “Qualcuno mai farà mea culpa per questi metodi da  sciacalli?”

La lettera

Ecco la lettera che la presidente della Fininvest ha inviato al quotidiano.

“Caro Direttore, 

ora che l’evidenza dei fatti impone a tutti di tornare alla razionalità, una riflessione relativa al modo in cui la terribile vicenda della morte di Imane Fadil è stata gestita credo sia giusto farla.

Non solo su ruolo e obiettività dell’informazione, ma anche, più in generale, sulla cultura dell’allusione e della calunnia e su quanto tutto questo intossichi la vita democratica del nostro Paese”. 

“Stavolta c’era di mezzo la morte di un essere umano, di una ragazza dalla vita complicata che ha fatto una fine atroce. Di fronte alla quale non si sarebbe dovuto provare altro che rispetto e umana pietà.

E invece il suo dramma è stato vergognosamente usato con una spregiudicatezza e un disprezzo della verità dei fatti che fanno rabbrividire.

Una parte dell’informazione — per riflesso pavloviano certuni, per precisa scelta di strumentalizzazione altri — si attiva con grande zelo per additare il protagonista occulto: mio padre, ovviamente. Perché è vero che non c’è un reato ma solo un’ipotesi. 

È vero che non c’è un movente. È vero dunque che non può esserci un sospettato. E poi, l’ideologia acceca sì, ma qualunque persona sana di mente farebbe fatica a immaginare un killer assoldato ad Arcore che gira per Milano con nella valigetta sostanze capaci di annientare mezza città e tutto questo per eliminare una ragazza indifesa. 

 È tutto vero. Però… E qui scatta il consueto, perverso meccanismo, l’escamotage infallibile che consente di lanciare, nascondendo la mano, le calunnie più inverosimili: il «ragionamento politico», l’analisi del «contesto», la riflessione sullo «scenario».

Tradotto: se di delitto si tratta, è chiaro che Silvio Berlusconi non c’entra, figurarsi. Però… una superteste a suo carico muore in quel modo ufficialmente sospetto… Però… magari qualcuno potrebbe avergli voluto fare un favore, oppure tendergli una trappola… Del resto, con le sue frequentazioni… E via a tutto l’indecente campionario di fango che ci sentiamo sciorinare da decenni, con il pretesto di una sorta di responsabilità morale tanto assurda che neppure i tribunali staliniani credo avrebbero mai avuto il coraggio di sostenere.

Con assoluto sprezzo dell’intelligenza altrui, non ci si è vergognati neppure di fare un parallelo con il delitto Matteotti (il delitto Matteotti… Ma ci rendiamo conto della grottesca enormità?). 

Ma chi ripagherà mio padre di quel che in questa storia di consapevole follia gli è stato gettato addosso? Delle paginate sui giornali, anche stranieri, dei servizi su tg, radio, web, di quei talk show che con accanimento morboso per mesi hanno vivisezionato il caso? Qualcuno mai farà mea culpa per questi metodi da sciacalli? Faccio fatica ad essere ottimista, e ne faccio ancora di più se guardo a quel che il Paese si appresta a vivere.

Non mi pare di cogliere grandi sintomi di guarigione, anzi tutt’altro, da questa cultura dell’insinuare, del calunniare nascondendosi dietro un condizionale, dello sporcare in nome dei sacri principi.

È una cultura malata che certa politica, certa ideologia istigano e cavalcano, senza preoccuparsi del fatto che sempre più spesso il Grande Inquisitore può in un attimo vedersi trasformato nel Grande Inquisito. Ma — quel che è ancora più grave — è una cultura che mina alle fondamenta valori come garantismo, giustizia, verità, valori su cui poggia ogni vera democrazia”.