Musica

Mimmo Paganelli: “La musica di oggi? Salvo Brunori”

Dalla CGD alla EMI, la vita di Mimmo Paganelli è stata tutta consacrata alla musica, agli artisti. Ed ora lui la racconta nel libro Volevo Lavorare Dentro nei Dischi, presentato in un’intervista esclusiva – attraverso aneddotti e racconti – sulle pagine di Zon.it

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Nella sua vita trascorsa dentro nei dischi, ha lavorato, tra gli altri, con Mango. Che ricordi ha di lui, cosa manca di lui nella musica italiana contemporanea?

Innanzitutto la voce: la vocalità di Mango è davvero irripetibile, non ce n’è un’altra uguale. Con quella voce lui poteva fare quello che voleva. E poi la sua forza era la modestia: Mango era assolutamente consapevole dei propri mezzi ma è rimasto sempre umile. Io l’ho conosciuto alla RCA tra il ’77 e il ’78, abbiamo lavorato insieme ai primi dischi e in quel frangente siamo anche diventati amici. Con lui si parlava piacevolmente di tutto, musica compresa. Si lavorava bene con lui, sia per i concerti dal vivo che in sala di incisione.

Ricordo una volta che eravamo a cena e lui si è allontanato perché gli era venuta un’idea e voleva cantarla subito per non perderla. Poi sono arrivati i grandi successi, “Oro”, “Mediterraneo”. Mango allora non era più un mio artista ma ho continuato a seguirne l’evoluzione da spettatore. Fino al 1995, quando lo portai a Sanremo con “Dove vai”. In quel periodo trascorsi con lui del tempo nella sua Lagonegro, ed era bellissimo vederlo all’opera nel suo habitat naturale.

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Maurizio Becker la descrive come “l’uomo che saliva sui treni”. Ma di occasioni ne avrà perse anche lei. Se le dicessi Battiato? O Grignani?

Sono due errori che ho fatto perché non ho saputo impormi. Battiato sarebbe rimasto con me se avessi risposto a tono a quella persona che ha convinto la nostra casa discografica a lasciar andare Franco. Gianluca era, invece, un giovane anomalo per quei tempi, e per questo mi colpì. Avrei, anche in quel caso, dovuto battere i pugni sul tavolo: la nostra casa discografica gli aveva proposto un singolo e l’opzione album, mentre la Polygram (oggi Universal, ndr.) gli aveva dato la certezza della pubblicazione del disco di debutto.

Il suo libro, Volevo lavorare dentro nei dischi, è interessante anche perché è una storia dei supporti attraverso cui si fruiva e si fruisce la musica. L’offerta di oggi è davvero tutta da buttare?

Generalizzare non è mai un bene, è chiaro che in questo grande calderone qualcosa che si può salvare c’è. E’ inutile, però, negare che, quando qualcosa funziona c’è la tendenza a farne un copia e incolla. E questo impedisce alle canzoni di rimanere nel tempo, di fare catalogo come si diceva una volta. Il segreto per rimanere nel tempo? Essere se stessi anzitutto: purtroppo però, specie tra i rapper, sono molte di più le pose. Un’eccezione è forse Ghali che nel suo genere mi sembra quello più spontaneo, più vero e credibile.

E tra i cantautori chi “salva”?

Qui veniamo a un altro ingrediente che serve per “restare a galla”. L’intelligenza. L’esempio lampante è Jovanotti: ai tempi di Gimme Five con Cecchetto nessuno avrebbe  mai scommesso che le sue canzoni sarebbero rimaste nel tempo. Poi, invece, lui ha avuto l’intelligenza di spostare altrove la sua ricerca e oggi si può dire senz’altro un cantautore.  E un cantautore di razza oggi è anche Brunori Sas. Mi piace perché canta col cuore: è come ascoltare insieme, come frullati, De Gregori e Dalla.

Artista bandiera della sua gloriosa EMI è stato però Vasco.

Vasco è un genio perché in pochissime parole riesce a sintetizzare un concetto, un sentimento per il quale noialtri impiegheremmo fiumi di inchiostro. Solo lui ha saputo descrivere in maniera commovente lo scorrere della vita, che è un brivido che vola via ; solo lui è riuscito a dare poesia a quei momenti in cui ci sentiamo particolarmente stanchi, sconfitti. Con poche e semplici parole: Oggi voglio stare spento. La forza di Vasco è poi che riesce a parlare a più generazioni insieme: ha dato voce ai sentimenti di tutti, al bisogno di libertà di tutti.

Nella sua vita dietro le quinte, ha vissuto parecchi Festival di Sanremo. Un giudizio sull’era Amadeus?

I Festival di Amadeus sono cuciti per l’80% addosso alle generazioni più giovani. Ci faccia caso: prima per presentare un artista si faceva cenno alle copie vendute, oggi agli stream sulle piattaforme. Il Festival che vediamo oggi è un mix tra Sanremo e il Festivalbar: prima i tormentoni uscivano solo dal Festivalbar, oggi invece si punta all’orecchiabilità anche con le canzoni di Sanremo. Il che non è detto che sia per forza un male, visto che l’audience continua a premiare questa linea.

E dei talent cosa mi dice?

Dico che è inutile essere ipocriti, un talent avrebbe fatto comodo anche ai miei tempi. Aggiungo solo che è un peccato che questi meccanismi televisivi siano diventati, di fatto, l’unico serbatoio da cui la discografia italiana attinge. I talent-scout non ascoltano quasi più gli artisti: non interessa quasi più il progetto quanto piuttosto un’opportunità di vendita. Fai visualizzazioni? Ti facciamo un contratto. E’ un meccanismo a imbuto, usa e getta.

Riccardo Manfredelli

Lucano, laureato presso l'Università degli Studi di Salerno. Giornalista pubblicista dal 10 Agosto 2020; Mi piace più ascoltare che parlare, più fare che mostrare. Nutro una passione smodata per tutto ciò che è Pop, per tutto ciò che è spettacolo. Su Zon.it scrivo principalmente di Cinema e Tv.

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