10 Novembre 2019 - 06:00

Motherless Brooklyn: ora potete chiamarlo Edward “Noir”-ton

Motherless Brooklyn

Con Motherless Brooklyn, Edward Norton firma il suo ritorno alla regia dopo ben 19 anni. E regala una buona storia noir a tempo di jazz

Di Edward Norton conosciamo bene praticamente tutto. Sappiamo benissimo la sua attitudine a recitare parti sempre difficili. Le sue doti spiccate e la sua versatilità lo rendono adatto a qualsiasi scenario e a qualsiasi personaggio, sia esso un antagonista, un eroe o il pazzo di turno. Era da un bel po’ che l’attore non era su piazza, precisamente dal 2016. E così, ha deciso di tornare in grande stile: non solo recitando, ma anche girando personalmente il suo Motherless Brooklyn.

Non è però il primo appuntamento registico del protagonista di Fight Club. Norton, infatti, aveva già esordito dietro la cinepresa con Tentazioni D’Amore, commedia romantica del 2000. Dopo ben 19 anni e dopo una carriera che lo ha portato a consolidarsi, l’attore ci riprova, ma questa volta cambia completamente genere e soggetto. Il nostro, con Motherless Brooklyn, gira un noir d’altri tempi, dalle sfumature hard-boiled. Una detective story che ha nella particolarità del protagonista il suo punto di forza e anche uno dei suoi punti deboli. La storia del film, tratta da un romanzo di Jonathan Lethem, incuriosisce, spiazza per la sua completa voglia di ritagliarsi uno spazio tutto suo in maniera completamente anacronistica.

Una storia che fa dell’indagine, del torbido e del vortice della passione il suo punto di forza. La seconda opera del regista/attore guarda con forza sia ai grandi classici di Raymond Chandler, sia ad opere fondatrici del cinema, come quelle di Billy Wilder e Otto Preminger. Opere sì violente, ma anche romantiche, a testimonianza che le strade dell’amore e dell’odio si incontrano in maniera quasi costante.

E allora, godiamoci questa breccia in ambienti completamente astrusi dai nostri tempi.

I segreti di una città

Il sottotitolo di Motherless Brooklyn si intitola proprio così. Il perché è presto detto. Da subito, infatti, veniamo catapultati in una realtà oscura, nei bassifondi del quartiere di Brooklyn, che negli anni ’50 era conosciuto più per la sua pericolosità che altro.

Qui si staglia la vicenda del nostro Lionel Essrog (un superbo Edward Norton), aiutante del detective privato Frank Minna (Bruce Willis), che l’ha raccolto da un orfanotrofio quando aveva sei anni e si è sempre preso cura dl lui. Lionel ha una particolarità: soffre della sindrome di Tourette, che gli fa dire all’improvviso frasi fuori luogo, e che non riesce a contenere.

Quando il suo mentore Frank viene assassinato, il protagonista si rimbocca le maniche e incomincia ad indagare sulla morte del suo collega. Sulla sua strada troverà una storia molto più grande e “nera” di lui, che coinvolgerà anche un’affascinante attivista afroamericana, Laura Rose (una splendida Gugu Mbatha-Raw), di cui lui stesso si innamorerà al punto da doverla proteggere. Infatti, su di loro incombe una minaccia di corruzione e potere.

Il vecchio stampo

Tra richiami al proibizionismo, scenografie da Nuova Hollywood, romanticismo sfrenato e cliché degni del periodo storico in cui è ambientato (come la pipa e gli accendini Zippo), Motherless Brooklyn si distingue subito per essere drammatico e cupo, come ogni noir che si rispetti. Edward Norton (azzarderemo a dire “Noir-ton”, visto i toni del film) ricalca molto bene, soprattutto in ambito costumistico, le atmosfere che tanto hanno reso famosi pilastri come Howard Hawks, John Huston e (non ultimo) Martin Scorsese.

Il lato tecnico sorprende. La fotografia è molto curata, ricca di neon e luci soffuse, che restituiscono quell’alone di mistero degno di una filmografia d’altri tempi. I dettagli non sono trascurati, Norton non lascia nulla al caso. Equilibra per bene anche una buona dose action (con spruzzate di gore ben dosate) con un intrigo investigativo che non si limita solo all’indagine in sé.

Quasi tutto il cast, ad eccezione di alcune mancanze che fanno storcere il naso, riesce a reggere bene il film. Oltre al personaggio di Lionel, tagliato su misura per Norton, che non sfocia mai nel grottesco, abituato com’è a ruoli anticonformisti, spiccano un Alec Baldwin in grandissima forma, un Bobby Cannavale perfetto per ruoli simili, un Willem Dafoe la cui presenza è sempre ingombrante e mastodontica e la sorpresa Gugu Mbatha-Raw. Quest’ultima sorprende regalando un’interpretazione intensa, socialmente impegnata, perpetrando nel film un problema attuale come la discriminazione razziale.

La colonna sonora in tinta jazz si fonde con una rilettura di brani attuali, regalando un vero e proprio piacere per le orecchie.

Confusione e dispersione in Motherless Brooklyn

Motherless Brooklyn non è un film perfetto per diversi motivi. Innanzitutto, una deviazione della trama dal punto di vista politico che è sì interessante, ma che non viene mai approfondita del tutto. La complessità riesce a rendere evanescente il potere della storia, che prende troppe direzioni contemporaneamente e riesce a rendersi confusionaria e machiavellica. Troppa carne al fuoco, mentre occorreva far cuocere di più quella che già era sulla griglia.

In più, primi venti minuti a parte, il film manca di quella tensione che contraddistingue gli stilemi del genere. Norton si concentra troppo sulla chiave romantica, lasciando perdere la componente più viva e ansimante del racconto. E l’intrigo politico di certo non la alimenta. Anzi, riesce ad incidere negativamente e a disperdere ancora di più il filo del discorso.

Dal punto di vista tecnico, la regia di Norton si dimostra ancora troppo acerba, scolastica. Finché resta sui suoi binari, dietro la macchina da presa l’attore convince. Quando invece tocca tematiche più grandi, perde la bussola, dimostrandosi confuso e limitandosi solo a non perdere di vista gli attori. E per un noir ottimamente fotografato, questa non è una cosa di certo positiva.

Altra nota dolente è l’interpretazione di Bruce Willis. Nei panni di Minna, l’attore non riesce a sentirsi a suo agio, e in mezzo a varie prestazioni incredibili (quella di Norton, di Baldwin, di Dafoe, ma anche della stessa Mbatha-Raw) appare incredibilmente sottotono. Che sia colpa del poco spazio avuto? No, dato che anche in quei pochi frangenti non riesce mai ad eguagliare la drammaticità dei suoi colleghi. Che sia il suo canto del cigno, quindi?

Insomma, Motherless Brooklyn non è di certo un capolavoro. Ma ha il suo fascino.