Natale in Brunei? No, grazie

Per i sudditi di Hassanal Bolkiah è legge: vietato festeggiare il Natale
[ads1] Sembrerebbe l’inizio di un cinepanettone la notizia che arriva dal Brunei, piccolo Stato del sud-est asiatico situato sull’isola del Borneo. Fresca di divulgazione, infatti, la decisione – preannunciata lo scorso gennaio – del sultano Hassanal Bolkiah di bandire il Natale: niente capelli rossi, alberi, regali, canti, auguri, croci o bambinelli, pena la reclusione fino a cinque anni e multe fino a ventimila dollari.
“Il divieto è un modo per preservare il credo della comunità musulmana. Per festeggiare si intende l’ostentazione pubblica del Natale”, ha spiegato il ministro degli Affari Religiosi, con buona pace del 35% della popolazione del sultanato di religione non islamica. Alle comunità cristiane in loco sarà consentita una celebrazione intima e privata, previa notifica alle autorità locali di una dettagliata dichiarazione di intenti.
L’idea sarebbe nata dalle lagnanze degli imam, secondo i quali il venticinque dicembre celerebbe insidie da non sottovalutare per la sharìa: i musulmani rischierebbero di seguire “atti contrari alla fede di Allah e usare simboli religiosi come la croce, accendere candele, fare l’albero o mandare auguri natalizi”. Dal canto suo, Bolkiah, monarca assoluto che in Brunei fa il bello e il cattivo tempo, non ci avrebbe pensato due volte prima di intervenire con l’introduzione di una nuova figura di reato: da quest’anno, insomma, dietro le sbarre in Brunei potreste trovarci pure la nonnina della porta accanto.
Immediata la reazione dei sudditi cristiani che hanno, coraggiosamente, lanciato l’hashtag #mytreedom: una battaglia, ahinoi, contro un mulino a vento.
Ecco una trovata che fa sorridere e non solo. Riflettere, magari, sulla grandezza di quei sistemi che, pur difettosi, inefficienti o criticabili, riconoscono il sacrosanto diritto di fare quel che si vuole. Di criticare, credere e dissentire.
E, visto che non siamo in Brunei, buone vacanze!
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