3 Luglio 2021 - 10:22

Pakistan: cresce la rabbia per le dichiarazioni del primo ministro

eboli Amalfi Capaccio

“Lo stupro? Colpa delle donne”, le dichiarazioni del primo ministro del Pakistan, Imran Khan, indignano la comunità internazionale. Esplodono proteste a Karachi

Area di mareggiata per Imran Khan, primo ministro del Pakistan, che in questi giorni ha dovuto fare i conti con una tempesta di indignazione su più fronti. La ragione? Delle dichiarazioni alquanto discutibili sullo stupro , tema molto caldo per il quinto Stato più popoloso al mondo.

Le dichiarazioni

Ad incalzare l’ex capitano di cricket sul tema dell'”epidemia da stupro“, il giornalista di Axios, Jonathan Swan, che in diretta per la HBO di tutta risposta si è sentito replicare: ‘Se una donna indossa così pochi vestiti avrà sicuramente un impatto sugli uomini, a meno che non siano robot. E’ semplice buon senso‘, ha spiegato il primo ministro.

Rimane poco chiaro cosa Khan intendesse con “indossare pochi vestiti” in un paese in cui la maggior parte delle donne indossa un vestito nazionale particolarmente conservativo, dotato di un lungo velo. ‘Lei pensa che l’indossare pochi vestiti possa quindi legittimare lo stupro?‘ chiede incredulo il giornalista americano, ‘dipende dalla società in cui vivi‘ replica, invece, sicuro il primo ministro.

L’indignazione internazionale

Dichiarazioni forti per un primo ministro, tanto forti da indignare l’HUR (Human Right Commission), la Commissione per i diritti umani, che oggi pretende delle scuse: ”E’ pericolosamente semplicistico quanto detto e rafforza la percezione comune che vede le donne come “vittime consapevoli” e gli uomini come “aggressori disarmati.

Le parole di Imran Khan spingono l’intera comunità internazionale, ma soprattutto le donne, a chiedersi se questo tipo di logica non sia “l’origine del male”. Una mentalità consolidata dalle sovrastrutture culturali e religiose, immerse in un sistema di tipo patriarcale, con una spiccata gerarchia di genere.

La logica tipica dell'”apologeta dello stupro” secondo Maryam Nawaz, vicepresidente della Nawaz (Lega Musulmana del Pakistan), nonché figlia dell’ex primo ministro Nawaz Sharif. ‘Chi giustifica lo stupro – avrebbe dichiarato Nawaz – elabora lo stesso ragionamento dello stupratore‘. Forte indignazione anche da parte delle attiviste dei diritti per le donne, come Kanwal Ahmed: ‘Mi sconvolge pensare a come oggi, molti stupratori possano sentirsi giustificati, avendo dalla loro parte il primo ministro‘.

L’epidemia da stupro

Ogni giorno in Pakistan 11 donne sono vittime di stupro, con oltre 22 mila casi di violenza sessuale accertati negli ultimi 6 anni. Si parla di una vera e propria “epidemia da stupro”, un’emergenza per prima denunciata da Mukhtaran Bibi, vittima nel 2002 di uno stupro di gruppo.

Il caso fece molto discutere le istituzioni internazionali e richiamò l’attenzione dei media di tutto il mondo. Interesse scatenato dal coraggio della stessa vittima, consapevole di dover agitare le acque estere per potere davvero fare luce sul caso. La denuncia di Mukhtaran Bibi fu intesa dal clan di appartenenza come un atto dichiarato di sfida, in quanto il clan, nei casi di stupro, contempla per la donna una sola ed unica via d’uscita per poter “sopravvivere al disonore” dello stupro: il suicidio.

La sfiducia nelle istituzioni di Mukhtaran viene confermata dal fatto che in Pakistan, soltanto il 77% di chi commette violenza sessuale riceve una condanna, ovvero circa lo 0,3% della percentuale totale. Nonostante, infatti, il governo Pakistano consideri lo stupro un crimine penale, la percentuale effettiva delle condanne rimane irrisoria rispetto all’alta percentuale di denunce di stupro. Il crimine, punibile con pena di morte o con condanne che vanno dai 10 ai 25 anni di reclusione, è in realtà spesso condizionato dalle regole dei clan locali. Nel caso di Mukhtaran Bibi, il clan di Mastai Baloch giustificò lo stupro di gruppo come ‘vendetta d’onore‘, una sorta di “torto da ripagare”.

Il consenso delle istituzioni

Il problema sarebbe però, più ampio. Le dichiarazioni di Imran Khan, infatti, non fanno altro che evidenziare le mancanze e, troppo spesso, la complicità delle istituzioni. Secondo la docente di Women’s Studies, Shahla Haeri, infatti, lo stupro in Pakistan è molto spesso ‘istituzionalizzato, con il tacito e, talvolta esplicito consenso dello Stato‘. Secondo il WAR (War Against Rape), in un lavoro di documentazione e statistiche sui casi accertati di stupro in Pakistan, i casi di violenza sarebbero quasi sempre seguiti dall’indifferenza delle autorità locali. Ben l’82% dei casi di stupro sarebbe, inoltre, commesso da un membro del nucleo familiare della vittima, inclusi padri, fratelli, nonni e zii.

La protesta di Karachi

Esplode la protesta nella capitale del Pakistan, Karachi, la città più grande dello Stato. Migliaia le manifestanti scese in piazza, chiedendo a gran voce delle scuse ufficiali, nonché le dimissioni immediate di Imran Khan. ‘Chiedo libertà di parola e libertà di espressione‘ si legge sui cartelloni delle manifestanti. Una rabbia esplosa dopo le dichiarazioni, complice l’ultimo caso di violenza avvenuto lo scorso settembre, in cui una donna è stata vittima di uno stupro di gruppo davanti ai propri figli, dopo essere rimasta ferma con l’auto vicino la città di Lahore. Ad essere sotto attacco dunque, l’intera amministrazione Khan, complice dell’aver legittimato ancora una volta non solo un crimine penale, ma ancor più grave la logica del “se le è cercato”.