Gli ultimi quattro Governi (Monti, Letta, Renzi e Gentiloni), redistribuiti su due differenti Legislature, hanno permesso la nascita e l’evoluzione di un fenomeno tutto italiano: il bipartisan ad ogni costo.
Con la guida, dettata dalla responsabilità, delle strutture partitiche di centro-destra e centro-sinistra – avallate, chiaramente, dall’azione parlamentare – questo concetto ha avuto una modifica repentina negli ultimi mesi, fino a trasformare una parte sostanziale della struttura partitica nazionale.
Questo dato, reso ancor più noto dalla presentazione delle liste per le Elezioni politiche 2018, ha assunto una vita propria all’interno del Pd dove fra accordi e scontri elettorali si è sancita l’ennesima modifica del contenitore.
Infatti, in barba alle spaccature interne con le minoranze, la strategia portata avanti dalla segreteria nazionale ha permesso tanto lo sviluppo di un ibrido a trazione renziana quanto una bomba partitica ad orologeria.
Facendo riferimento al primo elemento, è possibile notare come il passaggio da uno schieramento ad un altro (Lorenzin, Casini e Viceconte , da sempre uomo di spicco del centro-destra lucano passato al Pd in vista della tornata, su tutte) non solo sia divenuto una routine da nord a sud ma abbia anche generato una quasi elezione certa – trattandosi di seggi storicamente appartenenti al centro-sinistra – per coloro che più si discostano dalla, seppur breve, tradizione politico/partitica del Pd.
Questo, che metterebbe maggiormente in imbarazzo simpatizzanti ed attivisti, da un lato consente l’ulteriore spostamento al centro dell’organizzazione renziana – con un occhio attento a ciò che accade nel centro-destra – e dall’altra indebolisce una struttura al limite della gestibilità.
L’ultimo dato, che abbraccia la seconda tematica presa in analisi, porta infatti ad una certa resa dei conti da giocare il 5 marzo.
In pratica, facendo riferimento ai dati sfornati dai sondaggi – al momento non del tutto favorevoli per il Pd – è facile intuire una partita a scacchi giocata durante il periodo elettorale tra maggioranza e minoranza ed una successiva nuova rottamazione in caso di conferma di quei dati.
In sintesi, il Pd si trova di fronte ad un bivio dove la partita elettorale vale sia la gestione della nazione – anche in ottica larghe intese – che una buona fetta di leadership all’interno di un partito in continuo cambiamento.
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