21 Luglio 2018 - 15:12

PD: sul lavoro il solito spocchioso approccio

Pd

PD e lavoro: Un amore mai sbocciato e che mai sboccerà. La nuova controffensiva di Martina al Decreto Dignità, il provvedimento non proprio bolscevico – e non del tutto sufficiente –  voluto da Di Maio

Il lavoro, mai come in questo periodo, è divenuto un campo minato per il centro – sinistra.
Nel paradosso più totale, seguendo i desueti schemi di posizionamento, il PD dopo il disastro Jobs Act – vero artefice della debacle del 4 marzo e di quelle successive – si appresta ad affrontare il primo provvedimento sul tema del Governo giallo – verde.

Partendo dall’assunto che la misura voluta da Di Maio rappresenterebbe solamente un primo confronto in un ambito totalmente bistrattato negli ultimi sei anni – anche se non del tutto sufficiente per risolvere i mali dell’attività lavorativa nel nostro Paese – ciò che si mette in mostra nel Pd è l’ennessimo approccio sbagliato ad un tema che dovrebbe ritornare, pena la scomparsa definitiva, nelle corde democratiche.

Secondo la discussione avviata da Martina con i sindacati confederali – da cui ci si aspetterebbe un diverso interessamento al tema – al centro della sfida democratica alla proposta ci sarebbero tre temi: voucher, salario minimo reale e sicurezza sul lavoro tanto a livello di diritti quanto a livello sostanziale.

Sul primo tema, con conseguente mea culpa sull’abrogazione e poi reintroduzione successiva (chiaramente non nel merito ma nella tempistica), il problema riguarderebbe le possibili conseguenze sulla legge inerente il caporalato introdotta dallo scorso Governo.

Considerando il provvedimento citato come non del tutto utile per diverse questioni – il sistema del caporalato investe ulteriori elementi da contrastare a fondo, cosa non riuscita del tutto attualmente – ciò che lascia basiti non è tanto la contrarietà sull’estesione all’ambito agricolo, dove forse realmente potrebbero servire nei modi giusti tali da non distruggere ulteriormente la dignità umana, ma quanto lo stesso PD – artefice dell’utilizzo generale degli stessi in tempi non sospetti – continua a fare spallucce sull’argomento dopo aver letteralmente distrutto in un sol colpo anni di battaglie sindacali e anni a venire di tutti coloro che si cominciavano ad affacciare al mondo del lavoro.

Il secondo ed il terzo punto, invece, procedono di pari passo e rappresentano sia tutto ciò che occorreva fare – e non è stato fatto – che tutto ciò che è stato fatto senza badare alle conseguenze.

Un livello minimo salariale – visto solo ed escluviamente collegato al REI, misura sterile ed inconsistente presentata in esclusiva contrapposizione all’idea pentastellata del reddito di cittadinanza -, una parità di genere e una reale rappresentatività sindacale, spesso ostacolata grazie a quella sorta di legittimo sospetto introdotto con l’abolizione dell’art.18 e la possibilità di giustificare in qualsiasi modo i licenziamenti, sono esattamente tutto ciò che non solo ha ridotto il lavoro ad un mero esercizio di vita ma ha anche totalmente alienato l’individuo di fronte alla necessità di non potersi concedere nulla se non il lavoro stesso, qualunque esso sia al di là delle competenze di base o richieste.

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