9 Maggio 2015 - 12:17

Primo amore di Garrone, la psicologia della serialità

primo amore

Il Primo amore di Matteo Garrone, matura all’interno di un’ambientazione claustrofobica, per delineare la serialità di un’ossessione: è follia

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Primo amore, del 2003, è uno dei film più controversi del regista Matteo Garrone. Vittorio (Vitaliano Trevisan) cerca un ideale, personificato da una donna. Incontra Sonia (Michela Cescon), quasi perfetta, ma pesa 56 kg. Troppi per lui. Da orafo vorrebbe modellare il corpo e la mente della donna come il fuoco fa con l’oro dei suoi gioielli. Sonia, rinchiusa in questo amore tormentato, vive senza accorgersene, in una morte allegorica. Lontani dalla realtà, i due si annullano a vicenda, lasciando il senso della follia. 

primo amore

dal film Primo amore

Forse uno dei film meno chiari del regista romano, in cui il suo stile sta per definirsi nel passaggio da L’imbalsamatore e Gomorra. Vittorio ha una psicologia densa, complessa e terribilmente romantica, da sfociare nella follia di un “serial killer”. Ossessionato dal corpo magro, levigato e raffinato come l’orafo fa con i gioielli per arrivare alla sua essenza, Vittorio fa di Sonia l’appagamento della sua follia. Non è però l’unica vittima, perché diverse altre donne erano cadute nella trappola di Vittorio. Un personaggio seriale in una performance da genere horror/thriller, quando l’azione compulsiva deve ripetersi più volte, su più persone con caratteristiche simili, quelle che scatenano l’indole perversa e “goliardica” dell’omicida. Un omicida metaforico Vittorio, che porta alla morte interiore di Sonia; contemporaneamente la plagia a livello mentale e la tortura fisicamente.

Il corpo è martoriato, privato della sua funzione biologica, elevato a oggetto del desiderio ideale, quello che offusca la reale percezione delle cose. Si sente come un elemento della natura, non come un essere vivente fatto di carne e ossa; dentro l’ossessione del protagonista, c’è un dramma, un trauma psicologico (psicoanalitico quasi), che lo lega alla tradizione dell’orafo trasmessa dal padre. Nel pieno di un conflitto edipico, Vittorio trasforma il rifiuto della perdita della sua figura di riferimento in una costante ricerca del suo insegnamento. Sappiamo che un trauma psicoanalitico spesso si manifesta in pulsione perversa, soprattutto nel rapporto uomo/donna.

primo amore

dal film Primo amore

Diverse le chiavi di lettura di Primo amore, come l’ambientazione claustrofobica e inquietante, che ricorda il fare del cinema noir. Garrone racconta il blocco di un uomo debole, ancorato all’unico amore della sua vita, l’oro (legame con il padre) che, spietato, annulla l’altra persona.

Un personaggio verso cui si prova repulsione e attrazione, come spesso accade con il serial killer, che si consuma fino al suicidio. Tratto dal libro “Il cacciatore di anoressiche” di Marco Mariolini, narra la parafilia che lo portava a desiderare sessualmente donne molto magre: una vera e propria pulsione patologica, che si nutre di fantasie, arrivando a fare tutto, qualsiasi cosa pur di saziare un desiderio impellente.

Insieme a Vittorio, anche Sonia è sfaccettata e “negativa”. Accetta di essere calpestata, modellata secondo un canone, asseconda le volontà perverse di Vittorio, così come la trasformazione del suo corpo, si consuma attraverso la volontà dell’altro, muore come persona prima che come essere fisico.

Matteo Garrone con Primo amore dimostra la sua grande capacità di raccontare l’uomo nella sua debolezza, sfumando le psicologie senza forzatura, ma catturando l’evoluzione “spontanea” del personaggio, mostrandolo nella sua complessità disarmante, eppure umana.

Un regista che sa rappresentare i luoghi con i contrasti di luce, quando vuole mostrare conflitti psicologici, ma sa anche rispettare il senso della realtà, quando vuole esprimere ciò che accade, lasciando allo spettatore la facoltà d’intuire, distaccarsi, interpretare.

Matteo Garrone, al Festival di Cannes 2015 con Il racconto dei racconti, al cinema dal 14 maggio, è un regista maestoso nella sua capacità di guardare, am(mirare), rivelare la vita e l’uomo che la incontra.

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