No al Recovery Fund: Polonia, Ungheria e il ricatto europeo
Polonia e Ungheria hanno le loro motivazioni per bloccare il Recovery Fund. Meloni e Salvini ancora una volta contro il loro stesso Paese
L’Europa di nuovo divisa, ma questa volta la divisione comporta uno stallo di 750 miliardi. Il Recovery Fund che nei Paesi più colpiti dal Coronavirus, Italia in primis, sono urgenti si blocca di nuovo. Ma il veto della Polonia e dell’Ungheria arriva come una doccia fredda e riporta nell’impasse intere nazioni.
L’Italia vede sfumare i 20 miliardi promessi dal Recovery Fund. Perché? La motivazione è semplice: la Polonia e l’Ungheria non vogliono nessun meccanismo di condizionalità. Attraverso questo meccanismo la commissione potrà bloccare l’erogazione dei fondi UE a quei Paesi che non rispettano lo stato di diritto. E tanto Budapest, quanto Varsavia, hanno già la “fedina” sporca.
Una precisazione doverosa. Il meccanismo di controllo dello stato di diritto non è stato introdotto ora, alle spalle della Polonia e dell’Ungheria. Non è stata una decisione presa di nascosto, bendando i due capi di stato e costringendoli a firmare. Ebbene no, le clausole riguardanti il rispetto dello stato di diritto erano stato già inseriti.
In realtà i punti 22 e 23 erano già presenti nello storico accordo del Consiglio Europeo di luglio. I due leader sapevano bene che un meccanismo di condizionalità sarebbe stato introdotto. Certo, la formulazione era alquanto vaga, requisito necessario proprio per convincere i leader di Polonia e Ungheria a mettere la propria firma. Ma intanto la firma arrivò.
Ora l’Europa è letteralmente sotto ricatto mentre i leader dei due Paesi gridano a gran voce di essere loro le povere vittime. Così come riportato anche da una nostra certa classe politica, che non condanna la posizione di Polonia e Ungheria, ma anzi dà anche ragione.
Salvini e Meloni si preoccupano per Polonia e Ungheria
Lega e Fratelli d’Italia sono gli alleati in Europa di Fidesz e Pis, i partiti che guidano i governi di Budapest e Varsavia. Matteo Salvini (che in realtà non ha alleanze con tali partiti) e Giorgia Meloni (che invece guida l’Ecr, il partito europeo di cui il Pis è il maggiore azionista) hanno replicato che la colpa dello stallo sul Recovery Fund va cercata nel tentativo dell’UE di limitare la sovranità di ungheresi e polacchi e di “punire” le loro politiche anti-immigrazione. La stessa tesi portata avanti da Orban e Morawiecki per replicare alle diverse accuse mosse da Bruxelles in questi anni, e in buona parte confermate da sentenze di condanna della Corte UE.
Nel momento più delicato della storia d’Italia Salvini e Meloni preferiscono attaccare l’Europa, che vorrebbe dare al Paese “solamente” 20 miliardi. In più, spalleggiano coloro che con le loro politiche sciagurate – proprio quelle che l’Europa vorrebbe controllare – stanno distruggendo i loro Paesi.
Cosa è lo stato di diritto e perché Polonia e Ungheria lo hanno già violato
Il meccanismo sullo stato di diritto è stato proposto la prima volta dal Parlamento europeo nell’ottobre 2016 dopo una serie di risoluzioni in cui si denunciava il deterioramento della situazione democratica in Polonia. Secondo l’Eurocamera, l’UE non ha strumenti efficaci per impedire che un suo Stato membro violi lo stato di diritto, ossia principi come la libertà di stampa, l’indipendenza dei giudici e i diritti delle minoranze. L’unico strumento previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea è l’attivazione dell’Articolo 7. Essa è una procedura che può portare a sanzionare un Paese membro negandogli il voto al Consiglio UE, ossia laddove si dà il via libera definitivo a bilanci e politiche europee.
Il primo caso riguarda l’Ungheria e risale al 2012. La Commissione aprì una procedura d’infrazione sulla legge, voluta da Orban (già al suo secondo mandato da premier), che abbassava l’età pensionabile dei giudici da 70 a 62 anni. Secondo l’opposizione, in questo modo Orban voleva promuovere un turnover nella giustizia per inserire uomini fidati nei posti chiave. Secondo Bruxelles, la legge introduceva una discriminazione tra giudici e altre categorie di lavoratori contraria alle norme UE. La Corte Europea diede ragione alla Commissione e condannò l’Ungheria.
I giudici europei fecero la stessa cosa nel 2018, quando condannarono la Polonia per la legge che prevede la possibilità per i giudici di continuare ad esercitare – raggiunto un certo limite di età – le proprie funzioni presso il Sąd Najwyższy (la Corte suprema). Solo ottenendo una previa autorizzazione, assolutamente discrezionale, da parte del presidente della Repubblica, avrebbero potuto continuare. Una chiara violazione del principio di inamovibilità e indipendenza dei magistrati, secondo l’accusa della Commissione, confermata dalla Corte con una sentenza di condanna.
Insomma, il Recovery Fund è bloccato perché due Paesi, che ogni anno sembrano volersi allontanare sempre di più dalla democrazia, stanno decidendo per l’Europa intera. Ora bisognerà vedere come l’Europa deciderà di comportarsi per ristabilire un ordine e mettere in moto i fondi.
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