11 Febbraio 2019 - 12:51

Reddito di cittadinanza: il “sociale” strumento elettorale

sociale

In questo momento storico e politico si assiste ad un proliferare di iniziative rivolte al “sociale”. Questo accade soprattutto in occasione di provvedimenti governativi quali ad esempio il reddito di cittadinanza

Articolo a cura di Carlo Ceresoli, giornalista – esperto di sicurezza sul lavoro

In questo momento storico e politico, considerate le difficoltà dello Stato a far fronte
alle gravi difficoltà di una parte della popolazione il cui numero si allarga sempre di più, si
è diffuso in maniera strutturale il così detto “terzo settore”, determinando in questo modo un welfare-mix che alcuni studiosi più critici valutano operare su una sorta di delega non scritta delle funzioni tipiche di uno stato che non riesce a soddisfare la richiesta di
assistenza e sostegno dei cittadini più disagiati.

E’ in questo panorama, dove l’attenzione ai problemi sociali si va concentrando, che
si assiste ad un proliferare di iniziative rivolte al “sociale”. Questo accade soprattutto in occasione di provvedimenti governativi indirizzati al sostegno di fasce della popolazione che versano in condizioni di particolare bisogno.

E’ il caso della entrata in vigore del D.L. n°4/2019, in attesa di essere convertito in
legge, che disciplina le regole per accedere all’ormai famoso “Reddito di Cittadinanza”.
I punti di informazione, dove è possibile ricevere le “dritte” sulla compilazione delle domande di accesso al beneficio, sorgono come funghi in un bosco colmo di rovi ed arbusti spinosi.

Spesso succede che questi info point a tema siano anche denominati “sportelli sociali”, abusando dell’aggettivo ”sociale” in maniera strumentale ed al puro scopo attrattivo di captatio benevolentiae oppure finalizzato al consenso in vista delle prossime consultazioni elettorali.

Quando si usa il termine “sociale” spesso è in riferimento ad un’azione di sostegno e rivolta quindi a persone che hanno bisogni specifici a cui si devono dare risposte specifiche e di natura tecnica.

Questo significa che, visto l’ambito di intervento molto delicato sia dal punto di vista psicologico-individuale che collettivo-sociale, chi è deputato a dare queste risposte
tecniche deve essere necessariamente un esperto provvisto della formazione adeguata e magari finanche un professionista qualificato, con studi superiori approfonditi.
Chi di noi, qualora fossimo investiti di un disagio di natura appunto personale o sociale, sarebbe disposto a rivelare informazioni intime e riservate a chiunque fosse disponibile solo ad ascoltare. In casi del genere si darebbe per scontato che il destinatario delle nostre confidenze sia in possesso degli strumenti necessari a gestire e risolvere il nostro problema di vita.

Ebbene spesso non è così. Spesso chi decide di aprire questi “centri di raccolta” delle vicende umane e personali non ha alcuna informazione-formazione in merito, né un titolo di studio specifico, né una professionalità idonea a far fronte alle esigenze di quelle persone che, spinte dalle difficoltà, si rivolgono a loro. Non è una questione di poco conto, anzi. Nei momenti di difficoltà personali siamo più fragili e quindi più ricettivi ad ogni tipo di proposta risolutiva, tutte le iniziative sembrano buone a tirarci via dalla brutta situazione di disagio in cui ci troviamo inaspettatamente.

Questo ci porta ad accogliere come possibili soluzioni ogni tipo di informazione senza fare attenzione da chi proviene questa informazione e quale sia il suo livello di credibilità professionale. Può succedere che si rischia non solo di non avere alcuna utilità nell’aver rivelato il proprio disagio ma anzi si passa “dalla padella alla brace” e si alimenta uno stato di frustrazione e sofferenza che può anche portare, individualmente, a gesti inconsulti o estremi e, collettivamente, a forme di contestazione e protesta difficili da contenere. Proprio nei momenti di difficoltà che possono investire chiunque di noi, è necessario, perciò, disporre di una dose di lucidità e fermezza che ci consenta di capire se la persona che ci offre un sostegno è in grado di riuscire ad esserci veramente utile oppure i suoi scopi sono strumentali e rivolti solo ad un suo interesse di parte. Per contro, spetta agli Organi istituzionali vigilare che il sostegno e l’assistenza sociale siano di competenza solo di professionisti del settore in possesso di una formazione specifica con un codice deontologico che regolamenta la professione e li vincoli anche al segreto professionale a garanzia e rispetto della vita privata di ognuno.

Articolo a cura di Carlo Ceresoli
assistente sociale specialista – mediatore sistemico e penale
giornalista – esperto di sicurezza sul lavoro