Reddito di cittadinanza, c’è una nuova incognita per i precari
Il reddito di cittadinanza fissa a 9.360 € la soglia massima dell’ISEE per accedere al sussidio. Ma il valore si fonda su quanto si è guadagnato nel 2017
Attenti a tutti. Tutti coloro i quali sono ostinati e credono di dover ricevere il reddito di cittadinanza devono temere che l’evenienza non si concretizzi. C’è, infatti, una nuova incognita che travolgerà proprio i precari, che rischia di lasciare molti cittadini nell’incertezza più totale. Chi ha un lavoro, o ha lavorato a intermittenza negli ultimi mesi, potrebbe infatti non ricevere il sussidio assistenziale.
E il fatto più increscioso è che riguarda la stragrande maggioranza dei cittadini. Naturalmente, chi ha cominciato a lavorare da poco ha un posto precario, e a questo punto la domanda sorge lecita. Anche chi non ha una condizione dignitosa a lavoro può ricevere il reddito di cittadinanza? La risposta, a questo punto, sembra tutt’altro che scontata.
Come ribadito ovunque, i requisiti principali per accedere alla nuova procedura assistenziale prevista dal Governo sono due. Il primo riguarda l’ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente), che deve attestarsi sotto quota 9.360. L’altro, invece, è basato sul reddito familiare, che deve segnare come conto massimo 6.000 € annui. Quest’ultimo varia in base ai componenti del nucleo familiare.
Grazie alla scala d’equivalenza, si sale a 8.400 € per due persone, per crescere ancora con la numerosità della famiglia fino a un massimo di 9.360 € (se in affitto). Per presentare la domanda, bisogna fornire anche la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU). Il problema è che la fotografia Isee “in corso di validità”, come richiede la legge, potrebbe non rispecchiare la situazione attuale, visto che oggi sconta i redditi relativi al 2017.
A questo punto, come farà il Governo ad erogare il sussidio, se per tracciare la soglia tra chi ha diritto e chi no ci si fonda su dati vecchi di due anni? Le soluzioni e i casi riguardanti sono molteplici.
Caso 1
Nel caso in cui in famiglia vi siano imprenditori o lavoratori autonomi, e i redditi che ne derivano non siano rilevati per l’intera annualità in ISEE, è prevista la comunicazione del reddito previsto. O almeno, così dice l’Istituto.
Dunque, presentare solamente la richiesta per il reddito di cittadinanza non basta più. Bisognerà compilare moduli aggiuntivi per comunicare che nel frattempo, dal 2017, la propria situazione è cambiata. Naturalmente, oltre che in un ulteriore appesantimento burocratico, ciò si traduce anche in una perdita di tempo, che farà slittare ulteriormente il periodo d’accettazione della domanda.
Inoltre, si aggiunge anche un altro problema. Come si può sapere se si rientra nei parametri, se ci si basa su quanto si guadagna al momento della domanda? A questo punto, si è pensato ad un modello “ridotto“, che faciliti procedure e tempi.
Ma proprio quest’ultimo rappresenta un’ulteriore complicazione. Infatti, questo modello può essere presentato solamente se si opera tramite i CAF o sul sito del Governo. E su Internet, per presentare la domanda, serve lo SPID e l’identità digitale dei cittadini di secondo livello, cosa che non tutti (o quasi nessuno) ha.
Un vero e proprio pasticcio.
Caso 2
La seconda eventualità riguardante il reddito di cittadinanza, invece, riguarda chi trova il lavoro dopo aver ottenuto il reddito. E qui le cose si fanno ancora più “interessanti”. Al richiedente, verrà fornito il modello esteso, che in caso di avvio di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa, avrà solo 30 giorni per presentarlo ai CAF.
Per i redditi da lavoro autonomo, invece, è ancora più complicato. Serve, infatti, una comunicazione trimestrale ai CAF del percepito, entro il giorno 15 del mese successivo a ciascun trimestre solare. Naturalmente, in questo modello sono compresi anche i redditi presunti e relativi all’anno successivo rispetto a quello di inizio dell’attività di lavoro già comunicata.
Ciò aumenta ulteriormente il processo di ricevimento, in quanto il reddito di cittadinanza potrebbe essere erogato anche un anno, se non due, dopo aver recapitato la richiesta. A questo punto, dato che il buon Luigi Di Maio suggeriva che la procedura sarebbe stata libera da intoppi burocratici, non si capisce a quale effettiva procedura si riferisse.
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