Rodolfo Fornario: “Torneremo a teatro, senza parlare di Covid”
Zon.it ha raccolto gli auspici dell’attore e regista partenopeo Rodolfo Fornario: “Quando torneremo a teatro, risparmiateci spettacoli sul Covid”
Il DPCM recante ulteriori misure di contrasto al contagio da Covid-19, firmato e snocciolato in conferenza stampa domenica scorsa dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha colpito (ancora una volta) anche il comparto della cultura, imponendo a cinema e teatri una nuova chiusura:
“Per molti, in realtà, questa non è una nuova chiusura. Considerato che non hanno neppure riaperto. Che senso ha riaprire i teatri il 15 Giugno quando i cartelloni sono praticamente giunti al termine?”. A parlare così è Rodolfo Fornario, attore e regista partenopeo a cui Zon.it ha chiesto delle riflessioni su quello che, senza mezzi termini, si piò definire il periodo più buio della cultura tout court.
Gli ultimi a riaprire, tra i primi a chiudere di nuovo, nonostante le misure messe in campo sembrassero funzionare (dati Agis parlano di un solo contagiato per oltre trecentomila spettatori fino a inizio Ottobre). A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina: che la cultura faccia ancora paura al potere?
La cultura faceva paura. Forse un trentennio fa, quando anche i più giovani erano vicini, coinvolti nella più stretta attualità. Lo dico io che ho vissuto da vicino gli anni di Piombo, la strage di Bologna. Oggi assistiamo invece ad un graduale rincretinimento del popolo italiano, portato alle estreme conseguenze anche da certi modelli televisivi, in cui la cultura trova ben poco spazio.
Eppure l’Italia dovrebbe essere fiera della propria cultura, farne un baluardo. Invece è trattata quasi con fastidio, come qualcosa di facilmente sacrificabile…
Esatto e sarà sempre così finchè si continuerà a pensare all’industria della cultura come a un settore di privilegiati: il teatro non è solo lo spettacolo, gli applausi, la gloria per l’attore. Ma un insieme di persone, una filiera che contribuisce a fare dello spettacolo ciò che il pubblico poi vede. Sono persone che non si può pensare mandino avanti le proprie vite con 1600 euro ricevuti in otto mesi: quando le luci si spengono e gli applausi finiscono, poi ci sono le bollette, la benzina da mettere alla macchina.
Oltre all’aspetto, mi passi il termine, industriale del teatro, c’è anche la sua non trascurabile valenza sociale….
Assolutamente. Pensa per esempio a quanto può servire il teatro nelle carceri, al lavoro che fa il Nest a Napoli, o alla sua importanza in contesti di disagio psichico o di riabilitazione. Io stesso tengo dei laboratori e oggi sono fermi anche quelli. Da noi vengono ragazzi di ogni età, e non è detto che diventino attori. Molti usano il teatro per superare le proprie paure, per acquisire maggiore sicurezza. Chi si prenderà cura delle conseguenze psicologiche della pandemia? A proposito, ti racconto una cosa…
La ascolto…
Domenica sono andato a vedere uno spettacolo e ho notato, con profondo rammarico, che al pubblico manca la spensieratezza di prima, la gente sorride veramente poco. E temo, che quando tutto questo sarà finito, si farà una enorme fatica a riportare la gente a teatro.
Ecco, a proposito del “dopo”: come se lo immagina per l’arte e la cultura tutta?
Guarda, penso che il Covid sia una grande possibilità, dal punto di vista creativo e dei linguaggi, perchè in mancanza della relazione che solo la sala può agevolare sei costretto, quasi per indole, a cercare formule alternative di creazione e fruizione. Io stesso, per esempio in questo periodo sto scrivendo e immaginando molto; con alcuni miei colleghi, prima che fossero “fortemente sconsigliati” gli spostamenti non necessari e fosse vietato di accogliere in casa più di un certo numero di persone, abbiamo girato dei piccoli video che, in rete, ci hanno dato anche buone soddisfazioni in termini di visualizzazioni. Tuttavia, bisognerà stare attenti anche a scongiurare un rischio terribile…
Quale?
Quello che il Covid diventi l’argomento principe attorno al quale far ruotare gli spettacoli che vedremo da oggi in poi: per “bombardarci” riguardo al Covid basta già la tv. Ti faccio un esempio: in Francia dedicano al Covid un solo servizio, di breve durata, a fine telegiornale. In Italia si parla solo di quello, e quando il tg è finito via agli approfondimenti.
Questo per dire che la gente, quando tutto sarà finito, non vorrà sentirne parlare per un bel pò (almeno per dieci anni, azzarderei); quindi, per favore: non propinateci spettacoli di coppie costrette alla separazione a causa del Coronavirus! Sarebbe troppo facile, e banalizzerebbe ciò che abbiamo vissuto.
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