Safe: quando la sicurezza non vuol dire innocenza
Il nuovo thriller corale di Netflix, Safe, è uno schiaffo in faccia a tutte le convenzioni borghesi. Protagonista della serie, un enigmatico Michael C. Hall nel ruolo di un padre disperato
Rifugiarsi dietro un muro, rinchiudersi nel cancello di casa propria, sentirsi al sicuro, quasi a dare un senso claustrofobico. Questo il vero tema del nuovo thriller di Netflix, il cui titolo, Safe, illustra in maniera perfetta.
La nuova serie, sbarcata sul catalogo lo scorso 10 Maggio, è un prodotto con grandissime aspettative. A partire già dall’attore, quel Michael C. Hall che ritorna sul piccolo schermo come protagonista, in vesti del tutto differenti rispetto a come lo ricordavamo (serial killer in Dexter, omosessuale in Six Feet Under).
Inoltre, vi è anche una grandiosa firma: l’autore della serie è Harlan Coben. Proprio lui, lo scrittore di gialli pluripremiato dalla critica e dalle accademie. La carne al fuoco è tanta, le premesse sono molte. Andiamo insieme, quindi, a scoprire Safe.
Il pericolo nella porta accanto
Parafrasando un celebre titolo di un film del 2004, illustriamo meglio la storia narrata in Safe. La vicenda prende luogo all’interno di una comunità ristretta, formata da tranquillissime famiglie. Questo piccolo quartiere è separato dal mondo esterno da una recinzione e sorvegliato ventiquattr’ore su ventiquattro da telecamere a circuito chiuso.
Protagonista della vicenda è Tom Delaney (Michael C. Hall), un chirurgo vedovo, padre di due ragazze adolescenti. Non avendo ancora superato per bene il lutto, si dedica con molta devozione alle sue figlie. Questo almeno fino al classico “fattaccio”.
Sua figlia Jenny, una sera, mentre partecipa ad una festa a casa di un’amica, scompare nel nulla. Le circostanze sono macabre e misteriose, e di lì in poi Tom comincerà un’indagine per conto proprio, che scaverà, poco alla volta, nel marcio della comunità. Il pericolo è sempre in agguato, anche nelle situazioni più tranquille.
L’utopia della perfezione
La prima impressione che coglie lo spettatore, in Safe, è come il topos venga rovesciato con una facilità disarmante. Da una situazione di pericolo esterna ne nasce subito una di pericolo “interno”, che porta il protagonista a mettere in discussione la fiducia riposta in amici e conoscenti.
Ogni abitante ha i suoi segreti, non tutto è perfetto. Come direbbe Antoine de Saint-Exupéry, “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Ed è proprio questo il senso di fondo della serie: il crogiolarsi nelle perfezione senza rendersi conto dei suoi lati oscuri.
L’inizio della storia aiuta moltissimo questa componente. Safe scardina ogni quotidiana certezza, e insinua atroci dubbi proprio nelle e sulle persone più insospettabili. Un thriller corale molto variopinto, in cui le sfaccettature della vicenda si rendono più interessanti della vicenda stessa. Si rivela anche una critica alla comunità, non molto celata, in cui la perfezione viene vista come la componente migliore per mascherare una realtà malata.
Una nota particolare di merito va a Michael C. Hall, capace di stravolgere completamente la sua etichetta di “bad boy” e di regalare un’interpretazione davvero emotiva. Naturalmente, gli appassionati delle serie TV faticheranno molto a guardarlo in un ruolo così irrazionale (il paragone con Dexter viene naturale, a qualsiasi spettatore).
Qualcosa di già visto?
Naturalmente, anche il nuovo show di Netflix ha i suoi scheletri nell’armadio, un po’ come la comunità della serie. La prima sensazione “negativa” che pervade lo spettatore, alla sua visione, è di star vedendo qualcosa di trito e ritrito.
Effettivamente, Safe fa fatica a coinvolgere e a presentarsi come qualcosa di veramente innovativo. La storia resta molto sul classico, non dando alito a colpi di scena clamorosi o ritmi serrati. In sostanza, non si tratta sicuramente di un prodotto unico nel suo genere, anzi.
Anche il montaggio della serie resta ancorato alla classicità, sebbene la regia sia abbastanza pulita (anche se molto banale, non c’è nulla di particolare) e di buona qualità.
Altre note dolenti sono il finale e il ritmo. Il primo, a causa di qualche scelta di scrittura non proprio convincente, garantisce una soluzione non proprio in linea con l’impianto narrativo. Il secondo, invece, resta ancorato a ritmi troppo lenti, soffermandosi di più su risvolti psicologici che sull’indagine vera e propria.
Un buon prodotto non originale
Nell’insieme, Safe si presenta come una serie di buona qualità, normale nei suoi canoni e non particolarmente fuori dagli schemi. Ciò che manca più di tutto è l’originalità, che fa rientrare lo show nel range di quelle serie troppo scontate.
L’incipit per fare dello show un ottimo prodotto c’è tutto, e l’idea non è assolutamente da buttare. Ma, attraverso le puntate, esso si banalizza troppo, fino a rendere apatico e senza particolari pretese persino il suo finale.
Un lavoro sicuramente ben fatto, che però non riesce a mantenere le grandi premesse portate con sé, e non raggiunge lo status di prodotto unico e non paragonabile a nient’altro. Stilisticamente il tutto resta tutto fin troppo scolastico, persino nella regia e nella scelta del sonoro.
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