La senilità sveviana tra malinconia e nevrosi
Tra il primo romanzo, Una vita, e il ben più noto La coscienza di Zeno, si colloca Senilità, la seconda grande opera di Aron Hector Schmitz, meglio conosciuto come Italo Svevo
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Emilio Brentani, il protagonista di Senilità, si può definire, senza mezzi termini, un inetto in piena regola: impiegatuccio con velleità da letterato, ma quasi del tutto incapace di essere pienamente anche solo una delle due cose, intraprende una relazione con la giovane Angiolina, donna dai facili costumi, decisamente nota a molti dei conoscenti del Brentani.
Una delle prime cose che colpisce, in questo romanzo, è il modo in cui la realtà dei fatti sistematicamente si discosti dalla realtà percepita dal protagonista; quella che nella sua mente è un’esaltante avventura, della quale egli ritiene di essere l’attivo promotore, di fatto si rivela essere una relazione sentimentale grottesca ed unilaterale. La cosa che Emilio sa fare meglio è illudersi, convincersi di essere il regista di una storia della quale, invece, non è altro che una delle tante comparse. Così lo descrive Svevo nel primo capitolo del libro: “egli credeva di trovarsi ancora sempre nel periodo di preparazione, riguardandosi nel suo più segreto interno come una potente macchina geniale in costruzione, non ancora in attività. Viveva sempre in un’aspettativa, non paziente, di qualche cosa che doveva venirgli dal cervello, l’arte, di qualche cosa che doveva venirgli di fuori, la fortuna, il successo”.
In un certo senso il protagonista di Senilità si potrebbe definire un procrastinatore seriale, che rimanda puntualmente al domani quello che potrebbe fare nel momento presente, che attende un improvviso e quasi miracoloso cambiamento dello stato di cose, senza però muovere un dito perché tale cambiamento avvenga; in fin dei conti, infatti, egli si reputa una macchina geniale ed è convinzione anche fin troppo diffusa che la genialità sia una sorta di illuminazione che non richiede sforzo alcuno.
È inevitabile, leggendo Senilità, non essere assaliti dal corrosivo dubbio rispetto alla reale dimensione delle proprie azioni e, quindi, non chiedersi se e quanta parte dell’inetto Emilio Brentani vi sia in ogni individuo. Di fronte a questo personaggio si resta indecisi, sospesi tra la tenerezza e l’irritazione, perché, se da un lato la sorte del Brentani ricorda quella dell’uomo comune, in preda ad innumerevoli complessi esistenziali e ad una perenne febbre di rivalsa, dall’altro, però, quegli stessi complessi, nel protagonista sveviano, sono ingigantiti, esasperati, tanto da sfociare in un egocentrismo cieco e quasi ottuso.
Senilità è il romanzo dei frustrati tentativi di riscatto, dei vani desideri di rivincita, per sedare i quali basterà a stento la morte, giunta inaspettata nella vita di Emilio, per vie che la sua “malattia” gli impedisce di vedere fino all’ultimo momento. Concentrato sulle azioni da compiere e sulle parole da dire per uscire vincitore dalla relazione con Angiolina, quasi che quel rapporto sia diventato una tacita battaglia che lui solo sa di combattere, il protagonista di Senilità ignora i segnali di allarme che preludono alla morte della sorella, l’unica persona che gli sia stata davvero fedele durante tutta la sua vita. Ma l’ego del Brentani non ricava alcun appagamento dalla persona della sorella che, addirittura, a tratti appare quasi di disturbo al normale svolgimento delle sue costruzioni mentali.
Dopo la morte della mite Amalia, guardata ogni giorno ma mai vista davvero, Emilio piomba in uno stato di senilità, incapace di reagire alle sconfitte inferte dagli eventi. Cosa sia questa senilità di Emilio Brentani, la quale, di fatto, fu prerogativa dello stesso Svevo, è presto detto: Paolo Di Stefano, in una prefazione all’opera, la definisce “malinconia congenita”. Sembrerebbe contraddittorio pensare ad un’anzianità congenita, quasi che alcuni individui, a dispetto di ogni logica, nascano già vecchi nell’animo, tuttavia i personaggi sveviani, come lo scrittore stesso, costituiscono la testimonianza viva e duratura di questa possibilità solo apparentemente assurda.
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