22 Giugno 2019 - 06:00

The Dead Don’t Die: la vita (e la morte) secondo Jim Jarmusch

The Dead Don't Die

Jim Jarmusch torna al cinema con The Dead Don’t Die. Un vero e proprio testamento secondo il regista statunitense, che “gioca” con il pubblico

A Cannes aveva aperto la passerella della Croisette, mettendo in evidenza un nuovo ritorno di un grande protagonista del cinema internazionale, negli ultimi anni sempre produttivo con una puntualità disarmante. E Jim Jarmusch, questa puntualità, non l’ha tradita nemmeno questa volta. Eccoci di nuovo ai nastri di partenza, dunque, con la sua nuova creatura: The Dead Don’t Die.

Un progetto di certo non nuovo per il regista. Infatti, arriva sei anni dopo aver immaginato uno scenario orrorifico simile. In quel frangente, però, a tenere vivide le emozioni erano stati i vampiri decadenti, misantropi e immortali di Solo Gli Amanti Sopravvivono (un vero e proprio masterpiece della sua filmografia). Questa volta, invece, il suo soggetto è incentrato su una figura che è praticamente l’archetipo dell’horror dagli anni ’70 ad oggi: lo zombie, il morto vivente.

Proprio su queste creature “immaginarie” (ma ne siamo davvero sicuri che siano solo una suggestione?) si basa il suo nuovo The Dead Don’t Die. Ma non solo. Perché ad accompagnarlo vi è uno scenario di completa distruzione, metafora della società che pian piano sta diventando sempre più un vero e proprio cancro per il mondo. Una società in cui lo stesso regista non riesce più a riconoscersi, che non gli appartiene, che lo proietta in una dimensione sempre più estranea.

Alla classica dimensione sociale (di cui ormai il regista ha fatto il proprio marchio di fabbrica) degradante, pessimistica e disillusa, lui affianca come al solito una buona dose di divertimento. E, soprattutto, dei nomi davvero altisonanti. Il cast, infatti, conta attori di spicco come Adam Driver, Bill Murray, Tilda Swinton, Chloë Sevigny fino a comparse inaspettate (come Iggy Pop).

Insomma, pronti ad una spedizione in quel di Centerville?

Uno scenario apocalittico

Le vicende di The Dead Don’t Die sono, come al solito, bizzarre e sconvolgenti. In America, l’abuso spropositato delle risorse del pianeta ha provocato la frattura della calotta polare e lo spostamento dell’asse terrestre. Il giorno si è scambiato con la notte, ed ogni cosa rivela il suo contrario. Perfino i morti che ritornano a vivere.

Scenario di questo cataclisma è Centerville, da qualche parte in Ohio, dove a difendere l’ordine vi sono soltanto Cliff Robertson (Bill Murray), capo della Polizia, Ronnie Peterson (Adam Driver), agente che sembra sapere tutto di zombie e di eradicazione dei morti-viventi e Mindy Morrison (Chloë Sevigny), poliziotta fifona che vorrebbe tanto fuggire lontano dal paese.

I morti viventi, però, non sono i classici stereotipati zombie. Sembrano, anzi, essere ancora attaccati alle proprie abitudini terrene, tra un divoramento e un altro. Inoltre, a dar manforte ai poliziotti si aggiungerà l’inquietante Zelda Wiston (una quanto mai bizzarra, sopra le righe, oscura Tilda Swinton), impresaria di pompe funebri e virtuosa della katana.

Insomma, l’Apocalisse è cosa da poco.

Un mondo bizzarro e grottesco

Lo scenario che Jarmusch disegna in The Dead Don’t Die è fuori dal tempo. Centerville è una città strana, dove il regista crea un mondo a parte, pieno di simbolismi (la scena iniziale), di personaggi grotteschi e rozzi (ricordate Dead Man?). Dunque, nulla di nuovo, è il classico film jarmuschiano.

A questo, il regista aggiunge un’ironia pungente, tipica delle sue commedie, intrisa di doppi sensi e dialoghi surreali, che diventa uno dei leit-motiv dell’intero film (insieme alla canzone di Sturgill Simpson, che compare anche come zombie all’interno della pellicola). Ad essi si accodano il sottotesto sociale, chiaro omaggio al messaggio veicolato più volte dal sommo Romero, che critica il diffusissimo populismo attuale, l’ignoranza globale e il potere pervasivo dei media che distorce le situazioni a proprio vantaggio. Una sorta di inno alla cinefilia, avallato anche da citazioni a Hitchcock (Psycho) e a Spielberg.

Oltre all’indistinguibile tratto autoriale, però, sono gli attori a dare il proprio contributo. Al netto di un Adam Driver perfetto nella parte (anche nello sfondare la terza parete) e degli ottimi Murray e Buscemi, le vere sorprese sono Tilda Swinton e Tom Waits. Due performance bizzarre, sopra le righe, irriverenti, in perfetta tinta con i toni del film e con sfumature anche filosofiche (soprattutto Waits). Ad esse si aggiunge anche la performance di Iggy Pop, che farà saltare di gioia i fan musicali.

Altro punto cruciale è il finale. Oltre a sconvolgere tutto e ad essere davvero a sorpresa, si nota un certo gioco metacinematografico che chiama lo stesso Jarmusch in gioco all’interno della narrazione. E il tutto (cosa difficile da fare) funziona.

La carburazione

Tutto ciò di cui abbiamo parlato, però, gode di un grave difetto: la lenta carburazione. Vero che la trama non deve per forza decollare subito, ma se si parla di un film di un’ora e quarantacinque, il rischio (concretizzato) è che lo spettatore si annoi. La stessa componente orrorifica si prende troppo tempo per entrare in gioco, prendendo il sopravvento ormai troppo tardi.

La narrazione è trascinata, debole, troppo fissata sui silenzi e poco sugli altri veri protagonisti del film: gli zombie (a proposito, nel film arrivano con notevole ritardo). Questo fattore rende anche difficile la visione di The Dead Don’t Die agli spettatori, annoiandoli per larghi tratti, con troppi tempi morti a fare da padrone. Ed è un punto debole molto esagerato, specie se si parla di una commedia “sprint”.

Lo stesso registro dialogico oscilla perpetuamente da una dimensione aulica (davvero poco azzeccata) ad una estremamente popolare, non garantendo un filo conduttore all’opera. Un notevole passo indietro rispetto alla freschezza della sceneggiatura di Paterson e al pathos creato da Solo Gli Amanti Sopravvivono.

Troppa semplificazione, anche in cabina di regia, dove il regista di Akron si mantiene troppo sullo statico e sull’ordinario. Da lui ci si aspetta molto di più.

Ecco le ragioni per cui The Dead Don’t Die resta solo un carino film d’intrattenimento, utile a passare una serata in compagnia. E nient’altro.