19 Gennaio 2020 - 01:07

The Lodge: la coppia Franz-Fiala e il rapporto madre-figli

The Lodge

Con The Lodge, Veronika Franz e Severin Fiala propongono al pubblico la loro seconda opera. Film che richiama tematiche di Goodnight Mommy

Il cinema, si sa, è l’industria multi-culturale per l’eccellenza. Non ha confini territoriali, non è esclusivo e non sceglie a priori di quale nazione possa far parte il fenomeno del momento. D’altronde, lo stiamo vivendo sulla nostra pelle proprio in questi ultimi periodi con Parasite. Prigionieri dell’industria sono diventati anche Veronika Franz e Severin Fiala. Gli autori/registi austriaci sono nipote e zia, e si sono resi protagonisti 6 anni fa portando sullo schermo la bellissima opera prima Goodnight Mommy. Ora ci riprovano con The Lodge.

Un film di cui i due si sono occupati a 360°, dalla regia alla scrittura con l’italo-scozzese Sergio Casci. Con The Lodge, i due pongono l’accento su molte delle tematiche già trattate nel loro esordio, presagendo (forse) un rinnovato interesse nei confronti delle famiglie disfunzionali, in cui non tutto ciò che vediamo è come sembra. Persino gli elementi di partenza combaciano con la loro precedente opera. Infatti, abbiamo un’ambientazione solitaria, dispersa nel nulla, e solamente tre protagonisti, in formazione minimal: una madre con i suoi due figli, uno chalet di montagna, la neve, una situazione fredda e asettica.

Chiunque sia un po’ più ferrato potrebbe pensare: “Ma a cosa stiamo assistendo? Ad un nuovo capitolo di Goodnight, Mommy spostato nella neve?“. Sebbene i presupposti siano molto simili, il nuovo horror di casa Franz-Fiala intraprende un cammino del tutto nuovo. I due, infatti, strizzano l’occhio a tinte spirituali che ricordano da vicino gli inizi della carriera di un grande cineasta spagnolo di genere come Jaume Balaguerò. Molti sono, infatti, i punti di connessione tra il film tedesco e l’opera prima del regista di REC, dal titolo Nameless.

Ma andiamo con ordine.

Al di fuori del tempo

L’incipit di The Lodge è sicuramente d’effetto. Infatti, i registi ci immergono in sequenze ritraenti due bambini, sottoposti da una sorta di prete, a qualcosa che ha il sapore di un rito arcano, tra il mistico e l’esoterico (Nameless legit), attraverso incisioni fatte nei palmi delle loro mani e delle pratiche di mortificazione. Subito dopo questa sequenza, ha inizio la vicenda del film.

Veniamo a contatto, infatti, con una famiglia in disfacimento. Il padre, Richard (Richard Armitage) e la madre (Alicia Silverstone) si sono separati, e lui ora ha una nuova fiamma, una ragazza molto più giovane, una sua ex paziente di nome Grace (Riley Keough). Ci sono due figli, un maschio Aidan, di 15 anni (Jaeden Martell), e una bambina, Mia, di 10 (Lia McHugh). Venuta a conoscenza di questa relazione, la madre si toglie la vita e i due ragazzini vanno a stare col papà, il quale intende ricreare un nuovo milieu di affetti che comprenda anche Grace.

Per far conoscere la nuova relazione ai figli, Richard invita Grace e i suoi figli nel proprio chalet di montagna. Costretto a tornare in città per lavoro, Richard lascia da sola la compagna con i figli, che si mostrano però estremamente freddi e scostanti nei suoi confronti.

Grace, che si porta dietro il fardello di essere l’unica sopravvissuta di una setta religiosa guidata proprio da suo padre, con il passare dei giorni comincia a soffrire dell’isolamento e della solitudine, che riportano a galla ricordi dolorosi e traumi irrisolti. La casa sembra poi nascondere oscuri segreti, e i suoi inquilini si sentono sempre più braccati da sinistre presenze.

La dimensione familiare

L’influenza della coppia costituito da nipote e zia sicuramente riesce a farsi sentire. The Lodge, infatti, fa ricorso ad una tematica risultata principe (e vincente) in Goodnight Mommy: il rapporto tra una madre e i suoi figli. Quest’ultimo è un rapporto particolare. In entrambi i film, infatti, la figura materna viene destituita del suo ruolo, non riconosciuta ed estromessa dagli affari della propria famiglia.

Il tutto, ancora una volta, si svolge in un “non-luogo“. Fiala e Franz sono molto bravi a sfruttare scenografie desolanti e isolate per creare sinistri presagi tramite movimenti di macchina lenti e d’atmosfera. La regia ci cala in un ambiente malsano, pregno di misticismi e di follia, completamente al di fuori del tempo e dello spazio. La fotografia di Bakatakis (collaboratore anche di Yorgos Lanthimos), fredda, asettica, dalle mire nordiche (che ricorda molto capolavori come Shining, Nameless o Lasciami Entrare) fa da perfetto scenario a questa follia collettiva/discesa negli inferi. Dal punto di vista tecnico, il film risulta davvero valido.

Il cast, ridotto all’osso, regge molto bene l’urto del film. Riley Keough si ritrova perfettamente a suo agio nella parte disincantata e quasi catartica di una vittima inconsapevole. Allo stesso modo, Jaeden Martell, dopo aver dimostrato di saper sostenere anche ruoli pesanti in It e Knives Out, si conferma tra i più interessanti talenti che il cinema americano stia mettendo in mostra ultimamente. L’unica nota stonata è rappresentata proprio da Armitage, che vediamo però troppo poco per esporci ad un giudizio negativo.

Ma non è tutto oro quel che luccica.

Troppe citazioni e troppa confusione

Ad inficiare la buona riuscita di The Lodge, è sicuramente una sceneggiatura che stenta, e tanto. Sebbene la riduzione all’osso dei dialoghi dia più atmosfera, quest’ultima viene troppo diluita, annacquando completamente la seconda parte del film. E, a proposito di seconda parte, Fiala e Franz “ciccano” completamente laddove erano stati straordinari nella loro precedente opera Goodnight Mommy.

Infatti, se lì il colpo di scena finale rappresenta la ciliegina sulla torta di una piccola gemma, qui quasi dimezza il valore del film in toto. Colpa dei troppi elementi che infarciscono il film (soprattutto a dispetto dell’ora e mezza di durata) e che rendono l’intreccio estremamente confuso e trascinato.

Altra nota di demerito è sicuramente il troppo “citazionismo” osato dai due registi. In un tempo in cui, per fare la differenza soprattutto nell’horror, ci si deve affidare a qualcosa di nuovo, The Lodge contravviene a questa regola. Mixando idee provenienti da pellicole come Shining, Nameless (soprattutto) ed Hereditary, i due registi privano il film dell’unicità che un prodotto indipendente dovrebbe avere, per farsi strada.

E queste incertezze sono un peccato, sancite forse in virtù della commercialità. Mossa davvero sbagliata.