Gli u2 a Roma con uno spettacolo che vorresti non finisse mai
Il tour mondiale degli U2 si è fermato a Roma per due notti, in cui ha raccolto altrettanti sold out. La band irlandese in scena con uno show mozzafiato dedicato al trentennale dell’album “The Joshua tree”, che dal vivo suona ancora come se fosse stato pubblicato ieri
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Un colpo di batteria ben assestato, con le luci dello stadio ancora accese. E’ iniziato così, tra la ola profusa ed il battimani incessante della folla, il primo dei due show che gli U2 hanno tenuto all’Olimpico di Roma per celebrare i 30 anni dall’uscita dell’album “Joshua Tree”. Quasi a sorpresa, Bono ed i suoi si sono presentati di soppiatto in scena aprendo la serata con il rock massiccio di “Sunday Bloody Sunday” ed occupando, come farebbe una band qualsiasi, la parte anteriore del palco, quella formata dalla passerella a diretto contatto con la folla. La restante porzione, invece, costituita da un ledwall immenso coronato dall’albero raffigurato sulla copertina del disco e pensato per coprire da parte a parte l’intera estensione del campo da gioco, è restata inizialmente spenta mentre la band irlandese ha eseguito in rapida successione le varie “New years’day”, “Bad” e “Pride”, sul cui outro Bono ha anche intonato “Heroes” di Bowie usando come sfondo una marea di cellulari illuminati e rivolti al cielo in grado di creare un’atmosfera indescrivibile e che già da sola avrebbe potuto rappresentare la fine di tutto. Ma fortunatamente siamo appena all’inizio.
Ci pensano le note di “Where the streets have no name”, infatti, a dare il via alla parte centrale dello show, quella dedicata all’album che dà il nome al tour, e durante la quale vengono eseguite così come furono pensate tutte le canzoni che ne compongono la tracklist. Ritmo, potenza e rock puro si alternano nelle schitarrate di The Edge e nei vocalizzi di Bono, in barba a chi dice che l’età si fa sentire, mentre il video di una strada desertica regola anche l’accensione del megaschermo che, abbinato ad un rapido gioco di luci a tempo con la musica, si mostra in tutto il suo splendore. Prima il coro di sottofondo del pubblico nel vedere quella strada che diventa una montagna su “I Still Haven’t Found What I’m Looking For” e poi la coreografia con cartoncini giallo neri inscenata da buona parte dello stadio sulle note di “With or Without You”, riescono nell’intento di distogliere Bono dalla sua musica per strappargli un breve ma conciso “grazie mille Roma.”
Il cantante si concede altre due chiacchiere dopo l’esecuzione di altrettanti brani, che servono per smorzare un pò i toni e diminuire i decibel, affermando che “alla sua uscita il disco era stato concepito come vinile e che quindi aveva due facciate. Ad un certo punto ci si doveva fermare per girarlo sul piatto e che proprio con Red Hill Mining Town finiva la facciata A.” Parole che fanno da preambolo a quello che era il lato B dell’album e che vengono trasposte in scena attraverso l’esecuzione degli altri brani presenti in esso, tra cui spiccano “Mother of disappeared”, che chiude momentaneamente lo show, e soprattutto una fantastica versione di “Exit” i cui riff di chitarra pesanti targati The Edge fanno saltare Bono da una parte all’altra dello stage mentre una serie di telecamere, abbinate ad una manciata di effetti visivi e distorsioni pazzesche, riproducono il tutto sullo schermo. L’effetto finale?? Inutile a dirlo: da pelle d’oca.
L’ultima parte dello spettacolo è dedicata ai successi più recenti della band, ed è inaugurata da un profondo discorso sulle diversità che fa da incipit a “Miss Sarajevo” eseguita nella sua versione originale che si avvale della una voce fuori campo di Luciano Pavarotti. C’è spazio per alzare ancora una volta il volume durante l’esecuzione di “Elevation”, “Beautiful day” e “Vertigo”, il trittico che tutti aspettano e che genera una decina di minuti di estasi durante i quali la voce di Bono diventa un semplice accessorio rispetto a quella della folla, con lo stadio che sembra poter crollare da un momento all’altro. Segue un momento dedicato alle donne che hanno cambiato il corso della storia e che hanno contribuito al progresso di diversi aspetti della società, molte delle quali rappresentate sotto forma di gigantografie su schermo, mentre in un’Olimpico totalmente colorato in viola la band irlandese si diletta con “Ultraviolet(Light my way)” e “One”.
I saluti e la chiusura, stavolta definitiva, sono affidati al nuovo singolo della band, “The little things that you give away”, che sarà inserito nel prossimo disco, la cui uscita è prevista per l’autunno, a suggellare il prosieguo di una storia favolosa iniziata oltre trent’anni fa, e soprattutto a completare una serata perfetta che vorresti non finisse mai.
Fonte foto e video: Instagram
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