18 Marzo 2017 - 15:54

“Un tirchio quasi perfetto”, la recensione del film di Dany Boon

Dany Boon

Dany Boon, patron della nuova commedia francese, torna sul grande schermo nei panni di un violinista incredibilmente tirchio e le risate sono assicurate

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Francois Gautier, alias Dany Boon, è un violinista di talento. La sua vita è regolarmente scandita da concerti e lezioni di musica.

Sembra tutto apparentemente normale, persino piatto, se non fosse che Francois ha un difetto di non poco conto, ovvero, è incredibilmente tirchio.

Mettere mano al portafoglio lo angoscia in maniera drammatica e questa caratteristica lo rende del tutto ostile a vicini e colleghi.

Il protagonista di “Un tirchio quasi perfetto” ha una relazione esclusiva col denaro e per esso ha sacrificato e continua a sacrificare ogni cosa.

Eppure, il sentimento improvviso nei confronti di una violoncellista (nonché la scoperta di una verità quanto mai significativa circa la sua esistenza) lo costringerà ad affrontare i suoi limiti e ciò che è diventato facendo, finalmente, delle scelte basate su istanze diverse da quelle prettamente materialistiche e terrene.

L’analisi del film

Dany Boon

Dany Boon e Laurence Arné in una scena del film “Un tirchio quasi perfetto”, al cinema da giovedì 16 marzo

Dany Boon incarna un personaggio inverosimilmente attaccato al denaro.

Il film è tutto incentrato sulla nuova maschera della commedia francese; egli trasmette fobie paralizzanti che raggiungono vette tali da contrastare persino col normale scorrere della vita di tutti i giorni.

E’ questa la forza dell’ultimo lavoro di Fred Cavayé.

Esso non si limita a scimmiottare una cattiva postura esistenziale quale l’avarizia tout court, al contrario prende di petto la vicenda, non raccontando un vizio in modo accessorio o superficiale, ma riferendosi ad una vera e propria malattia tale da rendere un’esistenza praticamente invivibile.

Dopo Supercondriaco, Boon torna nuovamente a raccontare storie di fobie incondizionata.

E come per il precedente lavoro, anche questa è la pellicola di un solo uomo, Boon stesso, presente in ogni sequenza e deciso a dimostrare che i personaggi secondari sono effettivamente tali.

La bella Valérie è una di questi. Interpretata da Laurence Arné, costei da un tocco di freschezza ed originalità alla commedia.  

Ha anche lei i suoi guasti esistenziali, che non fanno certo il paio con l’avarizia di Francois, ma che condizionano ugualmente il suo percorso facendo da contraltare alla bizzarra storia del protagonista.

L’incontro tra i due appare davvero molto ben costruito e la presenza di Valérie servirà a mettere Francois finalmente dinnanzi ad un bivio decisivo atto a cambiarlo una volta per tutte.

Il film di Cavayé, in sostanza, riesce a divertire, sfruttando a dovere i suoi attori (Boon su tutti) in momenti esilaranti che non temono di flirtare con l’assurdo.

Lo spettatore ride di gusto, in virtù di una estrema onestà attraverso cui viene affrontato il tema della fobia.

Si ride, insomma, ma si finisce persino col riflettere su atteggiamenti e storture che, se non affrontate con massima determinazione e serietà, rischiano di condizionare pericolosamente l’esistenza umana, privandola della magia che il solo contatto con gli altri può elargire a tutti noi.

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