Vizio di forma di un saturo Anderson
Vizio di Forma, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, noto ai più per Magnolia (1999) e Il Petroliere (2007), è un film super atteso, ma un po’ deludente
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Vizio di Forma, uscito lo scorso anno in America e solo il 26 febbraio qui in Italia, è l’attesissima commedia noir del regista di culto Paul Thomas Anderson. Ambientato negli anni Sessanta, Vizio di forma è la storia di Larry “Doc” Sportello, un detective alcolizzato e dalla condotta poco ortodossa, che s’invischia in un affare surreale, tra polvere d’angelo e ebrei che vogliono diventare nazisti, su incarico della sua ex fidanzata Shasta.
Basato sull’omonimo romanzo, Inherent Vice del 2009, del genio postmoderno Thomas Pynchon e candidato agli Oscar 2015 come migliore sceneggiatura non originale, il film vanta un cast di rilievo: Joaquin Phoenix, che, sempre all’altezza del ruolo e delle aspettative, interpreta proprio Doc, Benicio del Toro, Owen Wilson, Josh Brolin, Eric Roberts, Martin Short, Martin Donovan e Reese Witherspoon, con cui Phoenix aveva girato nel 2005 Walk the line, scritto da Johnny Cash sulla sua storia con June Carter.
Sulle musiche di Jonny Greenwood ,e il romantico tributo a Neil Young con Journey through the past, si snodano i diversi piani di lettura del film, espediente topico della filmografia andersoniana fin da Punch-Drunk Love del 2002. Una menzione speciale va a Robert Elswitt per l’encomiabile fotografia di Vizio di Forma.
Questo trip psichedelico, di genere corale, elenca e non intreccia una serie di episodi, gli stessi che di solito nei film del cineasta californiano confluiscono a ricostruire il percorso obbligato della storia e della frustrante sorte, un aspetto che in Vizio di Forma è meno riuscito rispetto ai precedenti. Il trailer diffuso in Italia recita che Vizio di Forma è la commedia definitiva, ma in realtà non sfugge ai cinefili più attenti l’evidente richiamo ai fratelli Coen, nell’indiscutibile e tangibile citazione de Il Grande Lebowski (1998), nonostante lo stesso Anderson non abbia mai fatto mistero dei suoi omaggi “obbligati” ai registi che lo ispirano.
Forse il “vizio di forma” del film sta nella satura dimensione andersoniana che perde senso nel finale, in quella superficiale ricerca, quasi una maledizione a cui prima o poi soccombono anche i grandi registi, di un certo “manierismo” americano.
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