15 Giugno 2015 - 11:00

Et in terra pax, la poesia dell’immagine di Botrugno & Coluccini

et in terra pax

Et in terra pax rimane uno dei gioielli della produzione indipendente italiana. ZonMovie propone l’analisi della scena dello stupro 

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Quando la realtà e la condizione umana sono filtrate da una mente musicale, la visione diventa un’esperienza artistica e interpretativa superiore. I luoghi sono lo spartito musicale nel quale persone e sentimenti si fanno note, suoni e melodie. Corviale è il contesto di Et in terra pax, mentre i personaggi che lo abitano assumono il ruolo della nota musicale che si esprime attraverso il canto sacro del brano omonimo di Antonio Vivaldi, insieme al Concerto per oboe e archi continuo in Re minore di Alessandro Marcello; due temi musicali che accompagnano le vite alla deriva dei cinque personaggi principali.

Et in terra pax è un film che nasce dal bisogno sedimentato di raccontare e, dopo l’intensa attività del cortometraggio, i due autori trasformano l’esercizio estetico in opera. Giovanni Morelli scrive un libro rivelatore chiamandolo “Prima la musica poi il cinema“, dichiarando il forte legame produttivo tra i due linguaggi.

Questa riflessione è una delle chiavi di lettura di Et in terra pax, in quanto plasmato fin dalle prime immagini sul movimento musicale dei due temi predominanti. Associare un tema musicale, quindi, ad una situazione o a dei personaggi (in questo caso anche ad un contesto), riporta alla domanda: perché quella musica per quell’immagine?

et in terra pax

Et in terra pax di Botrugno & Coluccini

Dopo un lungo periodo di sperimentazione con la Trilogia della prigione (Chrysalis, Europa e Sisifo) e diversi videoclip, Matteo Botrugno e Daniele Coluccini hanno assorbito la dinamica dell’immagine con la ritmicità musicale, pensando alla realtà attraverso echi di memorie che contengono tanta disciplina quanta libertà individuale, riuscendo a fissare le regole all’interno nella somma di due sguardi che osservano da diversi punti di vista le cose, per giungere ad una soluzione finale sfaccettata e completa.

Et in terra pax racconta, o meglio “vede”, l’emarginazione e la depressione di una classe sociale che assomiglia alla piattezza del luogo, Corviale, dove ha perso la speranza di vivere una vita. I tre amici che si nutrono di noia, droga e violenza, sono solo il substrato di ciò che hanno esperito fin dall’inizio, e per rigetto, sono amorali e cinici. Nonostante tutto, però, l’umanità è anche dentro Corviale. Forse è un’umanità che va ricercata, ascoltata, celebrata.

Il brano scelto, “Et in terra pax” di Vivaldi, compie appunto un’operazione di ricerca, ascolto e celebrazione della fatica quotidiana di sopravvivere al dolore di non essere integrati, perché figli di un sistema che non si è scelto, incapaci anche di guardare oltre la cementificazione che impera sulle poche zone verdi della periferia romana, e concedersi al lato malsano dello stare al mondo.

La scena dello stupro rappresenta uno dei momenti più intensi e, in qualche modo rivoluzionari del film, sebbene sia un lungometraggio saturo di modernità e suggestioni. La suggestione è, fin dai cortometraggi, sinonimo di metafora che i due autori ottengono con il sincronismo o il contrappunto audiovisivo, interpretando a pieno il titolo del saggio di Morelli. Pensano prima alla musica o dal cinema arrivano alla musica? Questa domanda in Et in terra pax mette completamente in crisi chi scrive e chi guarda, perché le immagini sembrano essere nate da Vivaldi e viceversa.

Siamo nella parte centrale del film, quando i tre amici (Michele Botrugno, Germano Gentile e Fabio Gomiero) scatenano una violenza verbale nei confronti di Sonia (Ughetta D’Onorascenzo), che ha appena trascorso un pessimo giorno d’esame, non avendo il tempo e la serenità mentale per studiare come vorrebbe. Sonia è combattuta e sta rientrando a casa. Incontra sfortunatamente i tre ragazzi, subisce così lo stupro. Il tempo diegetico dedicato al motivo che porta al brutale gesto è molto breve rispetto, invece, al tempo impiegato dagli autori nel (non)mostrare la violenza sessuale sul corpo di Sonia. La musica di Vivaldi parte appunto quando Federico si sente rifiutato e affrontato dalla ragazza, la quale gli sputa in faccia la sua identità di gender.

Con “Et in terra pax” le immagini sono depurate, sacralizzate, umanizzate. Gli autori guardano la “scena” interpretando, perché evocare il senso intriso nel testo di Vivaldi significa prendere una posizione rispetto a ciò che si racconta. La “focalizzazione interna” s’incontra nelle scelte musicali, mentre la composizione delle immagini lasciano allo spettatore la facoltà di pensare autonomamente. La dialettica tra disciplina e libertà espressiva si alterna tra lo sguardo musicale e quello visuale: immaginare la violenza soltanto attraverso il movimento della mano di Sonia, dimostra un livello alto di pensiero cinematografico, in grado di far comunicare ogni singolo elemento per il discorso finale.

La mdp si allontana dalla scena, dove è rimasta Sonia, sola e addolorata. Il movimento degli occhi, del pensiero, parte dal dettaglio del corpo abusato fino a lasciarlo sotto forma di elevazione; in questo caso “Et in terra pax” di Vivaldi esprime il significato, e commenta i residui di ciò che rimane da questo gesto. Il colore poi, un altro vettore importante nel film; il rosso di Sonia racchiude la sessualità, la passione, l’amore, la positività e il calore. La sua immagine si unisce a quella successiva, in cui lo sfondo è simile a quello appena visto, e il colore della maglia crea il legame. La sigaretta che fuma Marco (Maurizio Tesei) è simbolo della precarietà della vita, messa in mano al personaggio che cambierà l’ordine delle cose, molto vicino a Sonia. Entrambi sono le “vittime” che, con la loro presenza, scomporranno l’equilibrio interno di Corviale.

Se la poesia è l’arte del componimento, creatività, elevazione e astrazione; Et in terra pax di Botrugno & Coluccini è “poesia dell’immagine“.

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