Renzi e la mortificazione della “buona scuola”
Dopo le diverse proteste di insegnanti, studenti e dirigenti scolastici il Governo si appresta ad approvare il provvedimento. Ma quali sono le vere conseguenze del ddl buona scuola?
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Una nota canzone popolare, poi riproposta negli anni settanta da Gigliola Cinquetti, recitava “E qui comando io e questa e casa mia”.
L’atteggiamento rude della protagonista del brano sembra ormai fatto proprio nella rimodulazione del sistema italico attraverso le riforme.
Il famoso video di presentazione di Matteo Renzi sul ddl “buona scuola” , infatti, ha creato oltre a nuove ed ingenti polemiche, ulteriori riflessioni sul destino della vecchia e cara scuola italiana.
Seguendo le abituali slide usate dal governo per illustrare il provvedimento è possibile effettuare un’attenta analisi, considerando anche le relative conseguenze, sui punti focali della riforma in questione.
Autonomia e personalità giuridica degli istituti scolastici: indica la facoltà per ogni istituto di
realizzare le finalità assegnate dalla Legge, autoregolando le proprie attività.
Il concetto, che riprende in sostanza la via intrapresa per altri enti pubblici, sembra rimarcare (come per il caso delle Regioni) il concetto: “ognuno per sé e Dio per tutti”.
Il principio di autonomia investe sia l’ambito didattico che quello gestionale e rimodula in maniera vistosa la figura del dirigente scolastico.
In questo caso, infatti, il vero “Deus ex machina” dei destini di ogni singolo istituto è il dirigente, le cui mansioni riguarderanno:
- assunzione dei docenti in base ad un albo regionale
- aumento dello stipendio per merito
- gestione dell’intero patrimonio scolastico
I primi due punti, che hanno ricevuto le maggiori contestazioni sia dal personale docente che dai dirigenti scolastici, rappresentano il primo passo verso la trasformazione della scuola in vera e propria azienda.
L’ampio potere attribuito alle nuove figure rende il sistema meno meritevole e più discrezionale data facilità di manovra.
Inoltre, il meccanismo di aumento dello stipendio (di per sé discrezionale data la proposta da parte del dirigente scolastico), che si fonda sui risultati ottenuti dagli alunni, rischia di creare un circolo vizioso in cui a subirne le conseguenze sarebbero solo gli studenti data la possibilità di veder lievitare le pagelle per risultare meritevoli.
In questo specifico caso, come anche per le assunzioni, si incentiva un sistema per creare una lotta tra colleghi che di fatto elimina il lavoro di squadra e la coesione nei consigli di classe.
Organico funzionale e nuove assunzioni: il punto in questione lega due ambiti strettamente connessi fra loro.
Vengono abolite le supplenze, che saranno effettuate dal personale a disposizione, e si disciplina l’entrata nell’ente del nuovo organico tramite concorso.
Le problematiche questa volta sono molteplici e abbracciano soprattutto quel gruppo di docenti precari che fino ad ora hanno tenuto, letteralmente, in piedi la scuola italiana e che ora rischiano di ritrovarsi senza posto di lavoro.
In primo luogo il nuovo concorso coinvolgerà tutti i docenti, senza alcuna distinzione;la domanda che sorge spontanea, quindi, è: a cosa è servito istituire il nuovo TFA (gravando sulle tasche di coloro che hanno aderito allo stesso)? E ancora: che fine faranno coloro che, pur avendo svolto un TFA inutile, non passeranno il concorso?
A questo va aggiunto che i vincitori,qualora non fossero assunti di ruolo (all’interno del famoso albo regionale dove i dirigenti scolastici individuano le personalità a loro funzionali) nel giro di tre anni, dovranno risostenere, e vincere, il concorso.
Gli abilitati di seconda fascia di istituto, come quelli di terza fascia che per il ddl non esistono, vengono totalmente ignorati lasciando allo sbando un corpo docente che fino ad ora ha lavorato fianco a fianco con quello di ruolo.
Più cultura umanista: in questo punto si irride letteralmente l’insegnamento scolastico. Dopo aver bistrattato l’ambito umanistico si dichiara di voler puntare sulla storia, arte, musica e lingue.
Anche in questo caso i quesiti sono molteplici.
In primo luogo, pur puntando su musica ed arte, il ddl “buona scuola” le considera come discrezionali e non è precisato il coinvolgimento delle classi di concorso a cui è riconducibile il suo insegnamento rispetto ai vari indirizzi di studio.
Qualora il rafforzamento della Storia dell’arte e della musica rimanesse opzionale è facile ipotizzare che soltanto un esiguo numero di scuole lo attuerebbero nell’ambito del proprio Piano di Offerta Formativa, privilegiando altre materie considerate più funzionali.
Diritto allo studio: l’ultimo punto è quello che coinvolge maggiormente i protagonisti di questo mondo: gli studenti.
La “buona scuola” non considera il Diritto allo Studio, in un Paese dove il 47% degli italiani non arriva a fine mese e la dispersione scolastica si attesta ancora al 17%, ma si conferma l’impiego di risorse dello Stato per sgravi fiscali alle rette delle scuole paritarie, perfino, anche se in maniera limitata, alle scuole medie.
A questo si aggiunge la libertà di gestione dei dirigenti scolastici che, di fronte ad un periodo di scarsità economica dell’istituto, potrebbe facilmente “girare” i fondi su altre voci di bilancio.
Per finire si fa riferimento anche all’alternanza scuola – lavoro (dimostrando che la provocazione del Ministro Poletti rappresentava una volontà effettiva del governo) da svolgersi anche nel periodo estivo con l’obiettivo di contrastare la disoccupazione.
Anche in questo caso sembra di parlare senza cognizione di causa, trattando i due argomenti con una tale leggerezza da sminuirli entrambi.
L’approdo verso una buona e democratica scuola sembra ancora più lontano e al momento il futuro non prometto nulla di buono.
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