“Brave Ragazze”: Michela Andreozzi donna per le donne
Nella Gaeta Anni Ottanta, quattro “Brave Ragazze”, decidono di rapinare una banca vestite come i Duran Duran: l’opera seconda di Michela Andreozzi è imperdibile
Con la sua opera seconda, “Brave Ragazze”, al cinema dal 10 Ottobre con Vision Distribution, Michela Andreozzi si conferma tra le nuove voci più autorevoli della commedia agrodolce italiana.
La rapina in cui Anna, Maria, Caterina e Chicca si lanciano è solo la manifestazione esteriore di un processo che, in realtà, avviene dentro alle nostre protagoniste: e questo “viaggio”, fa rima con coraggio. Il coraggio di vivere e amare seguendo il cuore, non le etichette. Il coraggio di liberarsi da ciò e da chi ci fa del male. Il coraggio di tornare a fidarsi di un paio di occhi che ti guardano e ti mandano in pappa il cervello, e non importa che quegli occhi appartengano al commissario che sta indagando su di te e sulle tue “partner in crime” senza saperlo (un Luca Argentero che è mix ormokiller tra Tom Selleck e William Hart).
Poker affiatatissimo
E quanto sono brave, poi, queste “Brave Ragazze”? Un poker di interpreti diverse e per questo complementari e affiatatissime: l’esperienza quasi materna di Ambra sembra guidare e ispirare le altre tre (le “ragazze” devono a lei il travestimento alla Duran Duran per la rapina, racconta la regista su Instagram) che portano ognuna perfettamente addosso il proprio ruolo: per una Pastorelli sempre più a suo agio nei ruoli brillanti, c’è una d’Amico che da “The Place” di Paolo Genovese ha solo guadagnato in quanto a misura e discrezione interpretativa, e che dal 1° Novembre vedremo su Netflix accanto a Elio Germano in “L’uomo senza gravità”.
Cosa dire invece di Serena Rossi? Si può solo fare un appello alla critica cinematografica che conta: il ruolo di Maria è così sfaccettato, Serena si divide così bene tra Grand Hotel e pistole, tra l’atteggiamento trasognato capace di spezzare anche la più cupa delle atmosfere e la propria rabbia di cambiamento (portata fino alle estreme conseguenze), che è difficile possiate rimanere comodi sulla sedia e lasciare la sua bacheca orfana di un premio.
Gli anni Ottanta oggi
Ambientato negli Anni Ottanta e ispirato ad un’incredibile storia vera che viene da oltralpe, “Brave Ragazze” è, per la “regissa” Michela Andreozzi, un ritorno e una riflessione sulle proprie radici: dalle vacanze a Gaeta (location della pellicola), ai film che l’hanno svezzata: primo tra tutti “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola, trait d’union l’assoluta verità di Stefania Sandrelli.
Mi piacciono, in definitiva, quei film che si divertono a giocare con le nostre aspettative, con le nostre convinzioni più radicate, e “Brave Ragazze” è uno di questi. Perchè le quattro amiche riescono a portare a termine il loro intento criminoso (sebbene ispirato dalle più nobili intenzioni)? Perchè il mondo non se l’aspetta. Chi volete che sospetti di quattro ragazze? asserisce infatti Caterina con estrema lucidità.
Sorellanza
Quattro ragazze esempio di “sorellanza” in un mondo prepotentemente maschile e predatorio (con poche eccezioni), nel 1982 come nel 2019. Il direttore di banca che chiede di avere “qualcosa” in cambio della concessione di un prestito, non è poi così diverso da un uomo che nel 2019 approfitta della sua posizione di potere per giocare con le aspettative delle sue sottoposte in cerca di un posto nel mondo e, magari, su un set cinematografico.
La donna che ieri continuava a giustificare le violenze del proprio uomo, è la stessa il cui nome, oggi, è sulle prime pagine di cronaca.
“Storie di tutti i giorni”, come cantava Riccardo Fogli, di ieri e di oggi. Ma “Brave Ragazze” ci dimostra che uscire dai circoli viziosi si può, con leggerezza e lucida consapevolezza, a ben vedere le due caratteristiche che meglio descrivono la Andreozzi regista.
Donna per le donne, tutte: mamme (di maternità in maniera lungimirante per il nostro Paese parlava l’opera prima “Nove Lune e Mezza), nonne e anche quelle che si bastano da sole, facendo spazio al più per un compagno e un carlino. Registe, di quelle che ce ne sono troppo poche.
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