Inside The Music: Fabrizio De Andrè, il caffè, e le lettere al boss Cutolo
Come è nata Albachiara di Vasco? “Wish you were here” dei Pink Floyd è stata scritta davvero per una donna come sembra? Inside the Music è l’unica rubrica che vi farà scoprire notizie e curiosità legate alla genesi, alla composizione, ed al successo di alcuni dei brani più famosi presenti nel panorama musicale mondiale. Oggi è il caso di “Don Raffaè” a firma di Fabrizio De Andrè
“Ah che bellu cafè, pur in carcere o sann fà…
Parlare di Fabrizio De Andrè non è mai facile, perchè qualsiasi cosa si dica o si scriva può sembrare ripetitiva. Non è facile perchè si rischia di essere fuoriluogo, banali, o scontati, perchè si argomenta di un mostro sacro. E cosa vuoi poter dire di un mostro sacro??? Ma soprattutto non lo è perchè De Andrè è stato analizzato, ostracizzato e ha funto da argomento di discussione per chiunque, perfino per una persona molto scomoda come il boss della camorra, tutt’ora condannato all’ergastolo, Raffaele Cutolo. Ma andiamo per ordine.
Siamo nel 1990, anno in cui dalla collaborazione dell’artista con Massimo Bubola, per la stesura del testo, e con Mauro Pagani per la scrittura della musica, nasce uno dei pezzi più belli del cantautore genovese e, più in generale, del panorama musicale italiano: “Don Raffaè”. Con un titolo che richiama il protagonista della commedia di Eduardo De Filippo, “Il sindaco del Rione Sanità”, ed un ritornello che strizza l’occhio a “O ccafè” di Domenico Modugno, il pezzo viene incluso nell’album “Le Nuvole” e rappresenta il secondo contatto di De Andrè con il dialetto napoletano, già sperimentato come lingua del ritornello di “Avventura a Durango” datato 1978.
Più che per l’aspetto puramente musicale, caratterizzato da semplici accordi di chitarra acustica, il brano è balzato ben presto agli onori della cronaca soprattutto per l’argomento trattato nella parte lirica. La canzone nella sua interezza, infatti, rappresenta una spudorata denuncia della situazione delle carceri italiane negli anni ottanta a cui si associava una marcata sottomissione tra Stato e associazioni malavitose.
L’intero argomento è reso attraverso la narrazione di una storia che ha come protagonista il secondino Pasquale Cafiero, che nel carcere di Poggioreale crea un rapporto altamente confidenziale con uno dei detenuti “del braccio speciale” che risponde al nome di Don Raffaè. L’ammirazione e il rispetto provata verso quest’uomo, dal passato palesemente malavitoso lo porta a chiedergli consigli e piccoli piaceri che descrivono perfettamente la condizione di detenuto privilegiato destinata alle persone che contano. Questi colloqui intrisi di corruzione prendono il carattere d’incontri amichevoli attraverso il rituale della tazzina di caffè, citata nel famosissimo ritornello, che la guardia è solita sorseggiare in compagnia del suo ospite.
Com’è facile da intuire, dopo la sua uscita, il brano proprio a causa della tematica in esso affrontata, è riuscito ad attirare immediatamente l’attenzione di fans, curiosi ed addetti ai lavori che hanno garantito anche una notevole visibilità al suo autore per il quale lodi e critiche si sono sprecate.
Tra i tanti ascoltatori, però, ne è spiccato in particolar modo soprattutto uno che all’anagrafe risponde al nome di Raffaele Cutolo, noto boss napoletano nonchè ideatore e principale esponente della Nuova Camorra Organizzata tutt’ora condattato all’ergastolo. Stando a diverse dichiarazioni ed interviste dell’epoca, Cutolo rimase estasiato dal brano di De Andrè tanto da riconoscersi in prima persona nella figura del boss descritta nel testo e, addirittura, dal carcere di Ascoli Piceno inviò all’artista genovese una lettera in cui si ” si complimentava con lui per la canzone e si chiedeva come avesse fatto a cogliere alcuni aspetti della sua personalità senza averlo mai incontrato e come fosse riuscito a descrivere così dettagliatamente la sua situazione carceraria.”
Faber, dal canto suo, forse sorpreso da quest’attenzione, rispose a sua volta con una nuova missiva in cui si dichiarava “facile profeta” poichè, sebbene il testo alludeva chiaramente a Cutolo, né lui né Bubolo, coautore del brano, disponevano di notizie di prima mano sulla sua detenzione”, lasciando di fatto libero il boss di pensare che la canzone fosse ispirata a lui o meno. In seguito, lo stesso De Andrè, si è espresso ulteriormente sulla vicenda dichiarando di aver ricevuto anche una seconda lettera da Cutolo alla quale, però, aveva deciso di non rispondere spiegando che: “Un carteggio con Cutolo non mi sembra il massimo. Per finire in galera basta assai meno.” Assioma valido circa 20 anni fa come oggi.
Di seguito è possibile è ascoltare una delle versioni dal vivo del brano, datata 1991:
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