Viaggio nell’Oriente sotto casa
Visita al Museo nazionale d’arte orientale Giuseppe Tucci fra passato e presente: un viaggio nell’Oriente sotto casa
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La nostra nazione è tanto ricca di opere d’arte che difficilmente si ha l’impulso o il tempo materiale di vedere opere di culture differenti.
Eppure, in un mondo che diventa sempre più fluido e al tempo stesso multiforme, istruirsi sulle culture altre è quantomeno auspicabile, almeno per comprendere quali sono non solo i punti d’attrito, ma anche i punti di contatto che, inevitabilmente, ci sono stati o tuttora esistono con le religioni e le culture di mondi oramai neppure tanto lontani.
Il Museo nazionale d’arte orientale Giuseppe Tucci di Via Merulana, a pochissimi passi dalla Basilica di Santa Maria Maggiore e dalla stazione Termini, è uno dei musei italiani più ricchi di opere asiatiche. Dunque, per chi non può o non vuole visitare l’Asia, questo Museo rappresenta un imperdibile occasione per immergersi in civiltà affascinanti e potenti, che hanno fatto la storia del continente asiatico.
Il Museo è stato fondato nel 1957 in seguito a un accordo fra il Ministero dell’Istruzione e l’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente, che vi ha collocato il materiale archeologico e artistico, proveniente in massima parte dalle esplorazioni in Tibet di Tucci, uno dei primi occidentali che ha avuto modo di visitare Lhasa grazie alla sua conversione al buddismo.
La collezione tibetana e nepalese è costituita perlopiù da dipinti su stoffa, affreschi, oggetti rituali e statue in lega metallica dorata. Molto suggestive e stilisticamente graziose sono le statue di Tara, una emanazione femminile delle attività dei Buddha, e del Buddha disteso in parinirvana, una enorme statua di fattura birmana in legno laccato, dorato e dipinto con inserzione di vetri policromi, che raffigura l’attimo in cui cessano di esistere i cinque aggregati che caratterizzano l’esistenza psico-fisica di un Buddha. Catturano sicuramente l’attenzione le bizzarre statuine raffiguranti personaggi del Ramayana, il testo epico indiano che narra le imprese di Rama, settimo avatara di Vishnu; sempre di fattura birmana, ma dai tratti decisamente più aggraziati, sono le attrici raffigurate nell’atto di danzare, del XIX secolo.
Notevoli sono anche le collezioni del Medio Oriente islamico e pre-islamico, con ceramiche dell’Iran Orientale estremamente simili a quelle geometriche della Costiera Amalfitana. Le mattonelle della dinastia Qajar del XIX secolo restituiscono scene di vita idilliaca, con sorridenti coppie a cavallo, o con uomini intenti a cacciare e donne spensierate e libere che, seppur velate, indossano vestiti molto decorati ed eleganti, vestiti che certamente non sono tanto dissimili da quelli tradizionali indossati dalle donne europee di quel tempo; il tutto è immerso in un blu intenso e a noi molto familiare, un blu che sembra quasi avvolgere le figure umane e i paesaggi lontani.
In questo piccolo, ma importante Museo è possibile ammirare anche una piccola collezione di opere giapponesi; incantevole è il grande pannello del 1896 di Kobayashi Kiyochita che ritrae una scena di teatro kabuki, una forma di teatro risalente al 1600 e per molto tempo praticata solo da uomini.
Alla fine, dopo un lungo peregrinare di stanza in stanza, di cultura in cultura e di epoca in epoca, non si può fare a meno di notare, forse con una strisciante angoscia dettata dalla lucida osservazione di problematiche attuali, che alcune delle opere presenti in questo museo raffigurano situazioni o costumi folkloristici che è ancora possibile vedere in giro per l’Asia contemporanea, altre, pur non essendo nemmeno tanto antiche, rappresentano ormai un mondo totalmente anacronistico, un mondo annichilito dal tempo e dagli eventi.
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