26 Ottobre 2017 - 13:09

Arrival, la recensione di ZON.it sul nuovo film di Villeneuve

Il regista canadese Denis Villeneuve con Arrival firma un futuro cult che risveglia il genere fantascientifico da troppo tempo annebbiato

Il regista canadese Denis Villeneuve (Prisoners; Blade Runner 2049) soffia aria fresca sul panorama fantascientifico con il film Arrival che getta nuove e stimolanti basi da cui ripartire appassionatamente. Con 8 nominations nella passata edizione degli Oscar, lo sci-fi di Denis Villeneuve riesce a mettere in mostra la migliore qualità che in questi anni il genere pareva aver smarrito: il fascino dell’imprevedibilità.

La trama

La linguista Louise Banks (Amy Adams) viene scelta per entrare a far parte di un team speciale, formato da esercito e scienziati, il cui compito è quello di riuscire a scoprire le intenzioni di una specie aliena arrivata sulla Terra a bordo di 12 navi soprannominate “gusci”.

Fonte:MyMovies

Louise ha già avuto a che fare con questioni di sicurezza nazionale grazie alla sua eccezionale conoscenza delle lingue, per questo viene scelta in qualità di veicolo comunicativo tra umani e alieni. Il compito di Louise è di fondamentale importanza visto che la presenza delle navi, sparse per il globo, ha messo sul piede di guerra le Nazioni “occupate”. Ad aiutare la linguista ci sarà il fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner), mentre il braccio armato è rappresentato dal colonnello Weber (Forest Whitaker).

Un messaggio per tutta l’umanità

Il regista si serve del reiterato e maltrattato tema dell’ “invasione aliena” per raccontare tutt’altro. Le 12 astronavi che arrivano sulla Terra si comportano in modo totalmente opposto rispetto a quanto visto sullo schermo nell’ultimo lungo periodo cinematografico. Gli alieni non vogliono seminare né morte né distruzione. Essi vogliono dialogare! Sembra banale, ma la profondità dell’intenzione è grande. Il dialogo è nella società moderna un’utopia tanto lontana dalla visione dell’uomo che, in situazioni critiche, mette troppe volte da parte l’intelletto e sceglie la facile strada dell’istinto, terribile mietitore noncurante degli strascichi che lascia lungo il suo tragitto.

Finalmente viene presentata sullo schermo una vera intelligenza superiore, in tutti i sensi. Ma che cosa vogliono i visitatori? Tra la tensione che vige in 12 Paesi occupati da altrettante navi spaziali, in quella che sembra essere la classica calma prima della tempesta, agisce dunque la figura di Louise Banks, la linguista che cercherà di usare con gli ospiti extraterrestri l’arma più sottovalutata e più potente a disposizione dell’uomo: il dialogo.

Il personaggio interpretato da Amy Adams è assillato, durante tutto l’arco del film, da vecchi, dolci e orribili ricordi riguardanti la figlia, morta in giovane età a causa di un male. Come ci si può attendere, la reiterazione di tali ricordi risulterà in qualche modo determinante. Determinante e spiazzante. Villeneuve dà allo spettatore tutto il tempo necessario per cercare di carpire elementi significanti da tali ricordi riuscendo, nonostante tutto, a stupire.

In uno sci-fi che si rispetti assecondare il pensiero logico può far imboccare il più delle volte la strada sbagliata e Arrival in questo senso ha il merito di riuscire a demolire con maestria il fragile puzzle che illusoriamente pare costruirsi a mano a mano sotto i nostri occhi.

Villeneuve è abile nel mettere insieme la giusta atmosfera, la giusta musica, le giuste ambientazioni, la perfetta misurazione dei momenti lenti e tesi che ben si accordano ad un prodotto del genere. La bellezza del film sta senza dubbio nell’intreccio, nel venirsi incontro, soltanto alla fine, di elementi all’inizio distanti, posti su linee parallele mai destinate ad incontrarsi. Altra tematica è il tempo. Il regista gioca con mestiere con questo fattore intangibile, provando a liberarlo dalla prigione della limitata e lineare concezione che di esso ha l’uomo.

In definitiva, l’invito ad una necessaria quanto immediata rivalutazione del dialogo tra gli esseri umani viene urlato a gran voce in Arrival. C’è bisogno di risvegliare l’umanità sopita che giace nelle nostre menti labili, diffidenti, in continua competizione l’una con l’altra per raggiungere il bene personale. L’incomprensione, che nasce dalla volontà di non voler capire l’altro, porta l’uomo ad agire in modo immediato e insensato. Questo è un mondo che, oggi più che mai, deve pretendere che la fiducia reciproca e la collaborazione per un bene comune e più grande della soggettività diventino i valori portanti dell’essere umano. Tutto questo in Arrival c’è. Una lodevole pellicola di fantascienza che non rinuncia al messaggio profondamente attuale e reale e destinata a diventare, negli anni, un cult. Ne avevamo bisogno.

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