Audrey Hepburn, la diva che non voleva essere una diva
Britannica, classe 1929, Audrey Hepburn è stata una delle icone di bellezza del Novecento, uno dei volti più noti del cinema degli anni Cinquanta. Donna esile, tormentata ed estremamente riservata, secondo i racconti del figlio Luca Dotti, quando eri “con lei ti scordavi che era la Hepburn”. Amò il nostro paese sinceramente, eppure la Roma mondana non la accettò mai per quella sua semplicità “quasi contadina”, troppo lontana dall’immagine stereotipata della diva
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Era bella Audrey Hepburn, bella perché semplice, senza bisogno di fronzoli e senza ricercatezza.
Eppure lei non si piaceva, e nel ricordo del figlio Luca Dotti, Audrey “si guardava allo specchio e diceva di non capire perché gli altri la trovassero così bella. Lei pensava di avere il naso e i piedi troppo grossi, poco seno e di essere troppo magra“.
Un infanzia difficile, con un padre simpatizzante del nazismo che, nel 1936, quando Audrey aveva soltanto 6 anni, lasciò lei e tutto il resto della famiglia.
Non rinunciò a cercarlo, la Hepburn, nonostante quell’uomo fosse un alcolizzato, fascista ed anche violento. Lo cercò, grazie all’aiuto della Croce Rossa, e lo trovò a Dublino, dove, nonostante il risentimento che nutriva nei suoi confronti, volle prendersene prese cura fino alla sua morte.
Era così Audrey Hepburn, donna cocciuta e dal carattere forte, capace tuttavia di sfoggiare una dolcezza inusitata, che qualcuno scambiava per ingenuità.
E di questa ingenuità Dotti ne ha parlato, in una lunga intervista che il figlio dello psichiatra romano Andrea rilasciò a Vanity Fair solo qualche tempo fa, dicendo di un’inedita Hepburn che amava “le penne con il ketchup” e la televisione italiana, fan inaspettata di Canzonissima e di Raffaella Carrà, di cui invidiava le movenze giacché lei stessa “avrebbe voluto essere una ballerina“.
Non si sa perché Roma non la accettò mai, per quanto la bella Audrey sia divenuta un simbolo della Città Eterna sin dai tempi in cui girò, con Gregory Peck, Vacanze Romane, un film che la rese una star internazionale e il simbolo assoluto della Dolce Vita.
Forse la capitale non accettò quella sua semplicità “quasi contadina“, come ha detto appunto Dotti, contestando forse il fatto che la Hepburn uscisse di casa come se fosse una donna qualunque, una che faceva e voleva fare la spesa e che rinunciò a comprarsi una Jaguar “perché le borse della spesa non ci stanno, e nemmeno i cani, Mi basta averla come sogno“.
Era riservata, insomma, Audrey Hepburn, e l’unica fissa che ebbe nella vita furono i foulard.
Per il resto preferiva poche amiche alla vita mondana che il marito Andrea Dotti desiderava, e quando divenne ambasciatrice dell’UNICEF solo pochi mesi prima di lasciarci per sempre, ne fu felicissima, perché amava i bambini. E come appunto Luca disse nella sua intervista, “Mi rattrista che non abbia potuto conoscere i suoi nipoti, che avrebbe adorato, visto che divenne famosa quando era tanto giovane e non ebbe il tempo di godersi l’infanzia“.
Oggi avrebbe compiuto ottantasette anni, se fosse stata ancora con noi, e sarebbe stata ancora una donna eccezionale, a sentire il figlio Luca: “Non aveva paura di invecchiare, e non capiva tante sue colleghe che già ai tempi ricorrevano alla chirurgia estetica“.
Ma la verità è che, forse, non c’era proprio niente da capire: al mondo c’è chi la semplicità e la bellezza ce l’hanno dentro, proprio come ce l’aveva Audrey.
Le altre, beh, quelle avevano bisogno di sofisticarsi, perché per loro la bellezza esteriore era l’unica che avevano. Mentre la Hepburn era la Hepburn.
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