15 Novembre 2017 - 18:26

Autopsy, la recensione dell’horror di ZON.it

Autopsy

Autopsy, pellicola horror diretta dal regista norvegese André Øvredal, tiene alta l’attenzione del pubblico grazie al suo alone di mistero

Autopsy, del semi-sconosciuto regista norvegese André Øvredal, è un buon prodotto fondamentalmente horror ma con una trama che gli fa assumere, con buoni risultati, i connotati di un thriller che strizza l’occhio ai cliché di genere, molto spesso apprezzati da una larga fetta di pubblico.

La trama

Fonte: MyMovies

Una casa, un misterioso pluri-omicidio e l’ancor più misterioso cadavere di una giovane donna senza identità, trovato sepolto nel seminterrato dell’abitazione. Gli indizi non sembrano avere logica e la polizia brancola nel buio. Una risposta decisiva potrebbe darla il corpo stranamente intatto della donna, affidato alla perizia del medico legale Tommy Tilden (Brian Cox) e di suo figlio Austin (Emile Hirsch). I due gestiscono l’obitorio-crematorio ubicato sotto la casa di famiglia. Lo sceriffo della cittadina di Grantham, in Virginia, cerca risposte sulle cause della morte della ragazza. Inutile dire che i risultati saranno sconcertanti.

Autopsy, un diamante grezzo tutto da gustare

Si rivela una piccola, piacevole e inaspettata sorpresa il nuovo film di Øvredal, Autopsy, che fa del mistero la sua arma principale (o meglio, l’unica). Il regista riesce a creare fin dall’inizio la giusta atmosfera, tesa e impenetrabile. Come già detto, il film è un misto di generi diversi, tra loro amalgamati abbastanza bene: di base trattasi di un horror ma la trama aggiunge un carattere thriller e non mancano tonalità splatter, seppur pacate.

L’aspetto horror dell’opera è forse quello che meno funziona nel complesso, fatto di jump scare piuttosto prevedibili e privi, dunque, dell’effetto sorpresa. È bene però non generalizzare, in quanto essi riescono comunque a fare presa su buona parte degli spettatori.

La fortuna della pellicola risiede nella storia che nasconde il corpo senza vita dell’anonima donna, ben costruita e imperscrutabile. Per quanto ci si possa sforzare durante la visione di capire perché la giovane, attorno alla cui autopsia ruota l’intero film, sia morta o le cause scatenanti la terribile situazione in cui Tommy e Austin Tilden vengono a trovarsi a seguito del contatto con il cadavere, nulla aiuta a predire in qualche modo la verità dietro al mistero.

Lo spettatore partecipa all’autopsia in corso e alle scoperte che mano a mano vengono fuori, le quali, con grande abilità del regista, non aiutano però ad avvicinarlo alla soluzione dell’enigma quanto, piuttosto, ad allontanarlo. Lo svelamento del mistero, quindi, avviene per gradi, è ben gestito per tutto il film e quello che si scoprirà risulterà tutt’altro che scontato.

Promosse a pieni voti le prestazioni degli attori Brian Cox e Emil Hirsch. I due protagonisti, così come il pubblico, sono soltanto delle incoscienti vittime di un gioco oscuro e maligno che li porta ad avere a che fare con un mondo ignoto, pervaso da un male che illude, inganna, che giostra a suo piacimento l’animo umano e infine, stanco di giocare per netta superiorità, decide di colpire con estrema brutalità.

La regia risulta abbastanza fluida, mentre il ripetuto indugiare della cinepresa sugli occhi senz’anima della donna riesce a creare nella mente dello spettatore l’attesa di un minimo e impercettibile movimento da parte di quel corpo che però opera per vie diverse e ignote alla semplice percezione umana. Se il nucleo della pellicola è, dunque, forte e compatto, quello che forse manca è l’attenzione a ciò che c’è o che dovrebbe esserci intorno.

Øvredal fa “all in” sulla storia che si cela dietro all’enigmatica donna e non si cura d’altro. Appena sufficiente la scenografia, fatta di spazi abbastanza stretti ma non proprio claustrofobici come ci si sarebbe potuti aspettare da un film che avrebbe dovuto fare del motto “non hai via di scampo” il suo cavallo di battaglia. Rilevanza maggiore poteva essere data alle musiche che, quando ci sono, sono inquietanti ma, purtroppo, appena abbozzate.

In definitiva, non ci si può che congratulare con André Øvredal per aver reso al pubblico un piccolo diamante grezzo su cui pochi avrebbero scommesso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *