Bitcoin, la Cassazione ha deciso: le criptovalute sono investimento finanziario
Quando i Bitcoin vengono considerati prodotto finanziario con finalità d'investimento? La Corte Suprema di Cassazione fa chiarezza
Un universo in continua evoluzione ma dai contorni tutt’altro che ben definiti: quello delle criptovalute è un mondo apparentemente astratto ma dalle potenzialità economiche sconosciute ai più. Le ultime novità in materia di Bitcoin arrivano direttamente da una sentenza di Cassazione: un intervento volto a porre nuova luce sulla natura delle criptovalute e soprattutto identificare le casistiche all’interno delle quali una valuta virtuale venga considerata prodotto finanziario se acquistato con finalità d’investimento.
La sentenza del 30 novembre 2021, infatti, disciplina i Bitcoin attraverso le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.). Precisazioni fondamentali per garantire la tutela dell’investimento e una regolamentazione unitaria e non aleatoria.
Una definizione di criptovaluta
L’esplosione delle valute virtuali ha obbligato gli organi di gestione e tutela a fornire una definizione univoca di questi strumenti. Nella direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (in modifica della c.d. IV direttiva antiriciclaggio), la criptovaluta viene definitiva come “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.
Le finalità di investimento, invece, appaiono per la prima volta nella definizione del legislatore italiano (art.1 del d.lgs. 2331/2007 dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n.125):
“La rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
La sentenza di Cassazione
Una volta chiariti i punti di partenza legislativi di questi strumenti virtuali, e acclarati anche i ruoli operativi degli “exchanger”, la Corte di Cassazione ha posto dei confini giuridici alla questione, indicando anche le possibili conseguenze penali per comportamenti non idonei.
Queste le conclusioni raggiunte:
“Ciò premesso, questa Corte ha precisato (Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 17/09/2020, De Rosa, Rv. 279590 – 01) che ove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, si ha una attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF (“La CONSOB esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali”), la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166 comma 1 lett.c) TUF (che punisce chiunque offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento); pertanto, allo stato, può ritenersi il bitcoin un prodotto finanziario qualora acquistato con finalità d’investimento: la valuta virtuale, quando assume la funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d’investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinato con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.), le quali garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell’investimento”.
ARTICOLO PRECEDENTE
ARTICOLO SUCCESSIVO
Ucraina, superstite Auschwitz costretta a fuggire: “Ce la farò ancora”