21 Luglio 2015 - 14:27

Buona Scuola, la testimonianza di un docente

buona scuola

La redazione di Zon ha voluto sentire il parere di un professore circa la recente approvazione del ddl Buona Scuola, approvato alla Camera dei Deputati lo scorso 13 luglio

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Il giornalista e storico americano Henry Adams scriveva nel 1908: “Un insegnante ha effetto sull’eternità; non può mai dire dove termina la sua influenza.”

È una condizione l’eternità, che diventa, per individui fortunati come lo sono gli insegnanti, una nobile merce di scambio. Varcata quella porta, si comprende che per un inspiegabile rito mistico, una parte di essi, invade e pervade ogni atomo di quella stanza, sorreggendo e accompagnando la fragilità dei ragazzi, mentre la gioia della creatività e della curiosità di un allievo, invita l’ansia della responsabilità adulta a un ludico riposo.

E non è una sensazione temporanea. Quando si torna a casa si rimugina su ciò che si è sbagliato, su quello che si poteva fare di meglio. La notte, si pensa al travaso del giorno dopo e a come migliorare se stessi perché forse sappiamo che non si insegna quello che si vuole, non s’insegna nemmeno quello che si sa o quello che si crede di sapere, ma si insegna e si può insegnare solo quello che si è.

Questo però non è un peso, non è la fatica che un lavoratore compie perché sa di dover comprare l’occorrente per il suo sostentamento, perché sa che deve soddisfare l’esigenza materiale che la vita ci chiede, è una lieve preoccupazione, che trasfigura un lavoro in un idea, eterna, a tratti presuntuosa, che fa di noi un vigile amico del mondo che verrà. Ed ora, nel mero consumismo ed in una concezione di tecnicizzazione forzata, dettata da logiche di mercato private, si urla a gran voce che la scuola sia l’elemento centrale, trainante e salvifico del nostro intero pianeta; una scuola “umanista”, con un chiaro errore grammaticale, che renda un ragazzo già pronto per il mondo del lavoro, un insegnante migliore, perché sotto il giogo del padrone, si dovrebbe produrre di più, perfezionare la didattica, la professionalità, l’umanità.

Qui non siamo di fronte ad una merce di scambio, qui è una parola che assimilata diventa idea, un’idea che messa in pratica diventa comportamento e tutto questo non può essere valutato in termini tecnici né immediati. Ed è un processo il cui risultato lo si misura nel grado di civiltà, riflessione, onestà e dignità di un intero popolo, nella capacità di comprendere le regole e rispettarle per il benessere di tutti. La scuola italiana è realmente, a mio avviso, in un profondo momento di crisi, ma è una crisi che coinvolge l’intero sistema sociale: una crisi di valori, di prospettive, di professionalità e di materiali.

L’Italia soffre di un ritardo di alfabetizzazione, nei confronti di altri paesi civili (non certo quelli in cui un vige un sistema totalmente o quasi totalmente privato) che ci condanna ormai da sempre: nel 1860 in Italia era analfabeta il 72% dei maschi e l’84% delle donne, quando nello stesso periodo, in paesi come l’Inghilterra meno del 50% della popolazione non sapeva leggere e scrivere. Questo genera servilismo, volontario o non, sottomissione, cercata o meno, povertà, incapacità di riconoscere il bene e il male storico.buona scuola

Quando si andava dal dottore a farsi visitare, o dall’avvocato per chiedere chiarimenti legali, e si portava il coniglio, la soppressata o altro materiale, lo si faceva a testa bassa come se si fosse andati in un tempio pagano a praticare riti di devozioni ad entità superiori. Oggi lo si fa in altro modo, ma tutto questo è rimasto, è innato, ormai endemico del nostro sistema.

Questo perché ignorare qualcosa fa sentire una persona diversa, sottomessa, anche se la stessa all’angolo di strada, crede, ostentando un rolex od uno smartphone di ultima generazione, di essere arrivato all’apice della scala sociale. La cultura checché se ne dica è potenza, consapevolezza, capacità di riflessione, comprensione ed elaborazione di realtà che spesso appaiono per quello che non sono.

Può un paese corrotto come il nostro, e il mondo intero, crescere figli che siano in grado di valutare, riflettere, e in taluni casi contraddire? Può l’Italia pensare che se si creano “buoni professori”, in grado di formare e crescere individui civili e consapevoli della propria dignità e dei propri diritti, tutto questo potrebbe portare il nostro paese verso una coscienza etica, che richiederebbe un impegno di serietà e impegno per tutti?

Molti edifici scolastici sono privi di un’aula docenti in grado di accogliere più di dieci persone, altrimenti dall’undicesimo in poi tutti gli altri dovrebbero rimanere in piedi; i pc, o meglio il pc in dotazione, è spesso un oggetto sconosciuto che per alcuni professori resta ancora un’entità aliena. E allora come si può pensare di riempirsi la bocca con “35 ore di lavoro settimanale” se non dotiamo un professionista, perché ricordiamoci che oggi per diventare un insegnante ci si deve laureare, superare una selezione o un concorso, e fino a poco tempo fa anche fare una scuola di specializzazione di due anni, se non permettiamo a questo lavoratore di sentirsi apprezzato, gratificato? Se non gli forniamo gli strumenti per poter lavorare e migliorarsi?

Parlare di 35 ore di lavoro è una menzogna che fomenta la lotta tra poveri, perché questo rimane di un professore. E chi pensa che il lavoro di un insegnante si riduca alle 18 ore settimanali di lezione frontale non sa quello che realmente accade nella fase di progettazione di una lezione, per non contare le tante ore che, ottimi docenti, ma prima ancora validi educatori, consumano nell’instaurare rapporti di collaborazione con famiglie e discenti; o le ore che si passano a correggere lavori e a compilare carte e schede destinate alla burocrazia.

I paesi in cui il sistema scolastico funziona quasi alla perfezione ci sono e non bisogna andare oltreoceano, dove la famigerata scuola privata dà pochissima possibilità ai meno abbienti e forma gli alunni a forza di risposte a crocetta. In paesi come la Polonia, la Germania, la Svezia, la Svizzera e tanti altri, un insegnante apprende anzitutto la pedagogia, cioè la metodologia dell’insegnamento, ha spesso un suo studio personale e attrezzature che gli permettano di espletare nel migliore dei modi il suo lavoro, per stare in armonia con gli studenti e soddisfare le loro aspettative sempre più elevate, altrimenti oggi tutto quello che si fa in classe è una battaglia persa in partenza.

Vogliamo che un insegnante possa lavorare a scuola più di quanto avvenga oggi, bene, mettiamolo nelle condizioni di farlo, altrimenti qualcuno per farsi bello agli occhi di chi non sa, genera dipendenti pubblici che oziano nella mortificazione dell’inattività. Vogliamo giudicare un docente per quello che fa, per quello che “produce”, per il suo appeal sui ragazzi, benissimo, ma il paese più corrotto in Europa può sostenere, per l’ultimo, forse, baluardo di legalità che era la scuola, un sistema del genere? Può concedersi di dare nelle mani di UNA persona un potere illimitato che potrebbe creare una catena di favoritismi e clientelismo? È giusto agevolare la scuola privata in questo melma traballante sulla quale ci muoviamo?

buona scuola

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Questi aiuti si concretizzeranno con la detrazione fiscale prevista sulle rette e le spese per mantenere gli alunni nelle scuole private. Di dirigenti ed insegnanti che fanno il loro lavoro onestamente ce ne sono tantissimi, e per chi non lo fa bisognerebbe senz’altro accompagnarlo gentilmente verso altro impiego, ma qui non si mette in dubbio questo. Qui si vuole solamente ipotizzare la perplessità che un concorso, per presidi o insegnanti che sia, non è la cosa migliore per creare un dirigente di un’azienda, ormai questo è, o un educatore delle generazioni future.

Questo deve essere un processo lungo di appropriazione e metabolizzazione di una mentalità lavorativa e professionale, lontana da logiche di potere e clientelari, da favoritismi economici, una coscienza etica che parte da bambino, perché si sta formando un uomo il cui benessere mentale, fisico ed economico, avrà una ricaduta sulla felicità di un’intera civiltà.

Questa riforma non è la peggiore, né sarà la peggiore, l’atto del riformare in sé produce scontenti, che solitamente fanno parte proprio della categoria che la riforma colpisce, ma una riflessione deve essere fatta: la scuola è l’unico è elemento che può cambiare la nostra vita futura, la cultura è l’unico elemento in grado di restituire dignità al popolo, di insegnare una persona ad educare se stessa. Piero Calamandrei diceva, trasformare i sudditi in cittadini è un miracolo che solo la scuola può compiere. Chi vuole può credere in questo miracolo, ma è un miracolo che solo una BUONA SCUOLA potrà donarci.

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PMP  

Insegnante d’italiano scuola superiore

 

(Per vedere testo integrale del ddl Buona Scuola clicca qui)