16 Marzo 2016 - 22:52

Cosa resterà del sistema partitico italiano

Il sistema partitico italiano è sempre stato considerato un’eccezione alla regola generale. Le vicende delle prossime amministrative, però, evidenziano l’approdo verso un nuovo, complicato, sistema nazionale

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Giovanni Sartori, uno dei massimi esponenti della politologia nazionale ed internazionale, nel suo Parties and party systems del 1976, cercò di classificare, attraverso un’attenta analisi del sistema partitico, il sistema italiano facendolo rientrare nella categoria del ”pluralismo polarizzato” .

Secondo il politologo fiorentino, l’Italia si caratterizza per l’esistenza e la persistenza di un sistema multipartitico frammentato nel quale le distanze ideologiche e politiche fra i partiti impediscono coalizioni stabili e rendono impossibile l’alternanza.

Sistema partitico italiano

Sistema partitico italiano

Questa accurata definizione del sistema partitico italiano, però, nell’arco di sole due settimane (o poco più) è stata totalmente stravolta e i fatti che hanno portato all’ennesima evoluzione dell’ “organizzazione italica” hanno definito la formazione di un nuovo tipo di stuttura altrettanto particolare e, allo stesso tempo, molto complicata.

Tanto nel centro-destra quanto nel centro-sinistra, l’approdo alle prossime elezioni amministrative rappresenta il punto di arrivo per la nuova geografia politica nazionale.

Per quanto riguarda il centro-destra la chiave di volta è rappresentata dalle città di Roma e Torino; la candidatura di Giorgia Meloni nella Capitale (in contrapposizione a quella di Guido Bertolaso, benedetta” dall’ex Cavaliere) e la diatriba fra Napoli e Morano nella città della Mole, evidenziano l’inizio di una nuova conformazione della “vecchia” coalizione guidata da Berlusconi.

Infatti, mentre da un lato l’ex Presidente del Consiglio stenta a lasciare la leadership dell’intera organizzazione pluripartica, dall’altro continua a crescere un’ala più radicale (e più radicata territorialmente) in cui la storica “destra nazionale” riesce a prendere piede grazie alla guida carismatica di Salvini.

Allo stesso tempo, pur non modificando in maniera integrale i connotati del proprio partito, il segretario della Lega Nord sta cercando in tutti i modi di rendere la propria organizzazione punto di riferimento dell’intero stivale e contemporaneamente “partito di governo” (pur avendo già avuto questo passaggio negli anni passati).

Nell’ambito del centro-sinistra, invece, la questione è molto più complicata.

Le vicende che hanno travolto il Pd durante le scorse primarie (con l’apice raggiunto attraverso i tre ricorsi, di cui due bocciati, di Bassolino a Napoli) rischiano seriamente di far nascere una nuova “cosa” nell’ambito “libaral-progressista”(se così lo si può definire).

Attraverso il “lavoro” portato avanti dal Segretario/Premier Renzi sta prendendo piede il progetto che tende ad isolare le minoranze interne, facendo emergere anche un’evoluzione del vecchio concetto di “centralismo democratico” (che in questo caso diventa una sorta di “o come me o contro di me“), e spostare il “baricentro” dell’azione politica verso poli maggiormente moderati ed ibridi (attraverso l’ormai celebre Partito della nazione).

In questo modo si cerca non solo di creare un nuovo tipo di “partito personale”(molto simile alla Forza Italia del 1994), fondato sulla forte leadership del “capo”, ma anche di “raccogliere”, in maniera bipartisan, i voti di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, si ritrovano spaesati (per reale senso di appartenenza o per “opportunità del momento”) nell’attuale sistema italiano.

Il sistema partitico nostrano si rivela, come sempre, ancora un’eccezione alla “teoria classica” ma mai come in questo periodo le modifiche sono così veloci da creare esclusivamente “convenienza” nell’adesione (o nel voto) dei singoli cittadini.

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